giovedì 31 dicembre 2009

Perù: continua l'attacco agli Indios

In Perù la lotta delle popolazioni indigene, che si sono riunite nell'Associazione interetnica per lo sviluppo della Selva peruviana (Aidesep), per proteggere la Grande Madre Terra, sta subendo attacchi sempre più violenti e preoccupanti da parte del Governo peruviano.
La lotta è iniziata nel marzo del 2009 per opporsi alla nuova Legge Forestale sulla Fauna Silvestre e contro la Legge sulle Risorse Idriche, che non salvaguardano i territori abitati dagli indigeni, ma che permettono alle multinazionali del petrolio e del gas uno sfruttamento sempre più deregolamentato, fino ad arrivare, a fine settembre, alla dichiarazione da parte degli Indios "dell'insurrezione anti-governativa amazzonica" rifiutando le leggi dello stato peruviano e riconoscendo solo le loro leggi ancestrali.
Il disconoscere le leggi e lo Stato peruviano da parte del Aidesep è l'ultimo atto di opposizione al Governo di Alan García che dai fatti di Bagua ha cercato di screditare e ingannare l'Associazione con l'appoggio dei media, pubblicando articoli pieni di false informazioni ed imputando la morte di alcuni poliziotti in scontri avvenuti con gli Indios. Oltre ai media si sono aggiunti i controlli fiscali sulle donazioni e su come venivano impiegate le risorse. Sono stati diffusi falsi dati su chi donava il denaro affermando che fossero tutti dei criminali, mentre per le istituzioni e le ONG è nato il ricatto che non avrebbero potuto più operare in Perù se non avessero smesso di fare donazioni all'Aidesep.
Insieme a questi attacchi portati avanti su stampa e televisione, la magistratura, vicina al Governo, ha accusato i leaders dell'AIDESEP di insurrezione e di attentare alla sicurezza dello Stato.

Pizango per esempio è stato costretto a chiedere asilo politico all'ambasciata del Nicaragua dato che un ingiusto mandato di cattura internazionale era stato spiccato nei suoi confronti. Oltre a Pizango che è riuscito a sottrarsi alla persecuzione del Governo peruviano, ci sono 89 le persone coinvolte in processi dopo gli scontri di Bagua con accuse pesantissime che vanno dall'omicidio all'associazione terroristica, dalla manifestazione non autorizzata all'attentato alla sicurezza nazionale.

Per concludere il governo di García ha avviato la procedura per sciogliere l'Aidesep con i pretesti sopra elencati e perché attenta agli interessi dell'oligarchia nazionale dato che le associazioni indigene cercano di difendere la terra, le risorse del sottosuolo, la flora e la fauna che la Ley de la selva distrugge oltre a impoverire l'intero paese delle proprie risorse.

sabato 26 dicembre 2009

Il processo a Francisco Santos si farà

Potrà essere riaperto il processo che vede coinvolto il vicepresidente dalla Colombia, Francisco Santos, per lo scandalo della parapolitica.
Il nome del vice di Uribe fu fatto da alcuni capi paramilitari delle Auc (Autodefensas unidas de Colombia) tra cui il potente italo-colombiano Salvatore Mancuso. Nella testimonianza di Mancuso, del maggio 2007, si legge che Santos incontrò varie volte i capi paramilitari a Bogotá. Gli incontri sono datati tra il 1996 ed il 2004, anno della morte del comandante supremo delle AUC, Carlos Castaño. Nella testimonianza di Mancuso, riguardante il primo incontro tra il vicepresidente e Castaño, si legge: "Santos si compiacque del modello che gli illustrammo su come funzionavamo a Córdoba e ci spiegò che era interessato a far sì che le Autodefensas esportassero il medesimo metodo a Bogotá. [...] in seguito ai suggerimenti del dottor Santos, Carlos ordinò di metter su a Bogotá il bloque capital". Altro passo importante della testimonianza di Mancuso è quello in cui parla del terzo incontro in cui afferma:"Il terzo incontro lo organizzò il comandante Jorge 40 e furono sorpresi nel vedere che io già conoscevo Pachito (è il soprannome confidenziale di Francisco Santos), e che ci salutavamo con un abbraccio e che ci chiamavamo lui Mono e io Pachito. Fu allora che mi chiese come procedeva la formazione del bloque capital".
Le parole di Mancuso hanno trovato conferma nelle testimonianze preliminari di altri capi delle AUC che ne prossimi mesi saranno interrogati più accuratamente. Oggi molti capi paramilitari sono stati estradati (Estradati dalla Colombia i capi paracos) negli USA e quindi i tempi e la detenzione statunitense stanno già complicando e non poco le indagini ed i processi in Colombia.
Mancuso ed altri capi della AUC hanno denunciato il fatto che le visite degli investigatori colombiani molte volte non vengono autorizzate e di conseguenza i processi e le indagini risultano danneggiate. Mancuso inoltre in un lungo documento inviato alla Corte Suprema di Giustizia della Colombia, alla Corte penale internazionale e alla Corte interamericana dei diritti umani, afferma di non poter rispondere liberamente alle domande poste dagli investigatori perché i suoi familiari in Colombia vengono minacciati costantemente; infine afferma che le estradizioni dei capi delle AUC sia stata decisa dopo che avevano iniziato a collaborare nelle indagini e sia solo una mossa per rallentare ed intralciare i processi.

L'avvocato che difende il vicepresidente Santos ha affermato che il suo assistito spera che l'indagine sia rapida e che accerti la verità che è una sola, la sua completa estraneità. Oltre alla sua innocenza Santos ha ammesso che gli incontri elencati con dovizia di particolari ci sono stati ma che avvennero nel periodo in cui era ancora caporedattore del quotidiano El Tiempo, di proprietà della sua famiglia.
Le indagini sono state riaperte grazie al generale Fernando Pareja che ha revocato il blocco delle indagini con cui si impediva di indagare Francisco Santos perché in quel momento espletava delle funzioni istituzionali; Pareja ha affermato che le indagini non furono serie e che le prove raccolte furono scarse e raccolte senza l'adeguata valutazione; quindi il processo deve essere riaperto con la possibilità di ascoltare tutti i testi e con una nuova e vera indagine.

Forse conosceremo la verità sui legami tra paracos e politica in Colombia.

martedì 22 dicembre 2009

Gelo tra Colombia ed Ecuador

Tra Ecuador e Colombia le relazioni diplomatiche si sono nuovamente interrotte. I rapporti diplomatici tra i due paesi si erano bloccati quando il 3 marzo 2008 Bogotá ordinò di attaccare l'accampamento delle Farc in pieno territorio ecuadoriano; in questa operazione morirono 26 persone, tra cui il portavoce delle FARC Raúl Reyes, un cittadino ecuadoriano e quattro messicani. L'operazione militare è stata chiamata Fénix. (link attacco in Ecuador)
Dopo vari mesi di scambi di accuse e gelo diplomatico i due paesi si erano riavvicinati grazie all'assemblea generale dell'ONU; ma dal novembre 2009 le relazioni diplomatiche sono tornate tese a causa di alcuni mandati di cattura che un giudice ecuadoriano, Carlos Jiménez, ha spiccato nei confronti di alti ufficiali dell'esercito colombiano.
Jiménez ha emesso i mandati di arresto per Juan Manuel Santos, che ai tempi era il ministro della Difesa del governo Uribe, per il comandante delle Forze armate, Freddy Padilla, per il generale della polizia Óscar Naranjo e per l'ex generale Mario Montoya, che era il comandante dell'esercito ed oggi è stato premiato con la guida dell'ambasciata nella Repubblica Dominicana dopo che era stato coinvolto nello scandalo dei Falsos Positivos. (link falsos positivos)
Il giudice ecuadoriano ha chiesto l'estradizione per Santos, ma è stata rifiutata per un vizio di forma.

La risposta di Bogotá alla firma dei mandati di cattura è stata immediata; Gabriel Silva, ministro della Difesa, ha affermato: "Difenderemo tutti quelli che parteciparono all'Operación Fénix [...] la difesa dei nostri funzionari è una responsabilità dello Stato, perché agirono servendo la Colombia, eseguendo istruzioni politiche, dunque non c'è nessuno che può essere imputato a livello individuale; [...] il giudice Jiménez sta agendo al di là dei principi della legge internazionale [...] la Colombia non riconoscerà la giurisdizione extraterritoriale di nessun giudice, di nessun paese, nei confronti di nessun funzionario o ex funzionario".
Dopo queste dichiarazioni il Governo dell'Ecuador ha risposto tramite il Ministro degli esteri che "la fiscalia (la magistratura) è un'entità giudiziaria autonoma e il potere esecutivo non ha la capacità di intervenire o controllare le sue decisioni" ed ha concluso che ogni magistrato ha diritto di indagare sui delitti che vengono compiuti nel territorio ecuadoriano.

Il ministro della Difesa colombiano ha dettato una condizione irrinunciabile per il riavvicinamento tra Colombia ed Ecuador con le parole: "Non ci sarà piena normalizzazione nei rapporti con l'Ecuador fino a che sarà in ballo questa questione".

venerdì 18 dicembre 2009

Argentina: gli aguzzini della dittatura uccidono ancora

In Argentina il testimone chiave del processo contro l'ex-generale Luciano Menéndez è stato trovato morto alcuni giorni prima della sua deposizione.
Il generale Luciano Menéndez, capo del Terzo Corpo dell'esercito che operava nel centro-nord dell'Argentina e già condannato a due ergastoli per crimini di lesa umanità, è stato accusato di crimini contro l'umanità insieme ad altri cinque alti ufficiali, crimini commessi durante la dittatura tra il 1976 ed il 1983 ed anche del sequestro, la tortura e l'omicidio del vice-commissario Fermín Albareda avvenuto nel 1979.
Il testimone trovato morto era un ex-poliziotto, Jesús González, che negli anni della dittatura aveva prestato servizio come guardia in un centro di detenzione clandestina del regime dove secondo l'accusa il vice-commissario Fermín Albareda fu trattenuto, torturato e poi ucciso. La testimonianza di Jesús González poteva far conoscere come si svolsero i fatti e poteva aiutare la giustizia a condannare i responsabili di questo omicidio.
Le prime indagini sulla morte di Jesús González si sono incentrate sul suicidio ma gli investigatori non hanno creduto a questa versione dei fatti e stanno cercando di scoprire cosa è realmente accaduto nella sua casa di Córdoba.
Questa morte, che segue dopo tre anni la scomparsa di Julio López chiamato a raccontare i crimini commessi dall'esercito durante la dittatura, dimostra come "la dittatura argentina faccia ancora paura"

lunedì 14 dicembre 2009

La rielezione di Evo Morales

Evo Morales ha vinto le elezioni presidenziali del 6 dicembre 2009 con circa il 62% dei voti mentre il suo primo rivale, Manfred Reyes Villa, si attesta intorno al 25% di voti.

Il dato elettorale dai suoi detrattori è visto come un insuccesso, perché nel referendum che permette al popolo della Bolivia di revocare il mandato del presidente dopo 2 anni aveva ottenuto il 70% delle preferenze. Mentre secondo gli analisti politici l'essere passato dal 52% di quattro anni fa all'attuale 62% è sicuramente un successo politico.
Il popolo boliviano ha premiato la politica di nazionalizzazione del settore estrattivo e la conseguente redistribuzione dei profitti; la creazione di uno Stato plurinazionale e multi etnico con il riconoscimento di tutte le popolazioni indigene sancito dalla nuova Costituzione. Altro punto a favore di Morale è stata la crescita economica del paese che nel 2008 si è attestata al 6% mentre nell'anno della crisi globale dovrebbe essere del 4% secondo i dati della Commissione dell’ONU per l’economia latino americana (CEPAL), inoltre è da considerare l'ottimo stato delle riserve valutarie.

Per la prima volta in Bolivia è stato ridistribuito circa mezzo milione di ettari di terra ai contadini poveri ed è stato avviato un programma di alfabetizzazione, i lavoratori hanno un salario minimo garantito che è cresciuto costantemente, le persone anziane hanno riconosciuto dopo molti anni il diritto alla pensione e le donne in stato interessante ricevano mensilmente dei sussidi dallo Stato oltre a delle prestazioni sanitarie gratuite.

Il risultato delle urne dovrebbe portare al MAS nell'Assemblea Legislativa Plurinazionale, che sostituisce il Parlamento, circa 70 parlamentari su 130; mentre al Senato ceh conta 36 seggi dovrebbero essere 24 i Senatori del MAS.

Adesso Morales ha davanti 5 anni di governo sicuramente non semplici, probabilmente forse più difficili, dato che si deve costruire le basi per uno sviluppo industriale. Questo sviluppo non si dovrà limitare al solo sfruttamento del ricchissimo sottosuolo ma dovrà essere utilizzato per accrescere il benessere della popolazione e creare un nuovo modello virtuoso di sviluppo.

giovedì 10 dicembre 2009

Honduras: le elezioni farsa

Porfirio Lobo, candidato del Partido Nacional (destra), ha vinto le elezioni farsa tenute in Honduras il 29 novembre. Lobo è un importante imprenditore agricolo di 61 anni, nel 2005 partecipò alle elezioni e fu sconfitto proprio da Zelaya con uno scarto di meno del 4%. La sua campagna elettorale si è basata sul promettere sviluppo economico con l'aumento dei posti di lavoro e la diminuzione delle tasse.
La vittoria a queste elezioni è stata giustamente contestata dal legittimo presidente, Manuel Zelaya, che fu deposto il 28 giugno dal colpo di Stato orchestrato dalle oligarchie militari e politiche.
Insieme a Zelaya si sono schierati quasi tutti gli stati del Sud America con gli USA, Colombia, Perù, Costa Rica e Panama che affermano che le elezioni sono indispensabili per riportare il paese alla normalità democratica; mentre gli altri stati, con in prima fila Brasile, Argentina e Venezuela, sostengono che se si accettano le elezioni proclamate dai golpisti si avvalla implicitamente l'atto autoritario che ha deposto Zelaya ed ha imposto Roberto Micheletti alla guida del paese.

Il giorno delle elezioni il Tribunale Supremo Elettorale (da ricordare che i vecchi membri del TSE sono stati sostituiti con nuovi uomini fedeli al regime di Micheletti) ha affermato che a causa del grande afflusso pacifico di persone alle urne è stato prolungato l’orario di apertura dei seggi ed, inoltre, è stato suggerito di non apporre sul dito dei votanti l'inchiostro che indica che l'elettore ha già votato. In questo modo qualunque elettore può votare più volte.
Dall'altro lato invece, il presidente del Comité para la Defensa de los Derechos Humanos en Honduras, Andrés Pavón, affermava che circa il 66% degli elettori non si fosse presentato alla urne. Oltre al dato sull'astensionismo il Codeh ha segnalato che durante una manifestazione a Tegucigalpa contro le elezioni illegittime un manifestante è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco esploso dalla polizia. Sempre durante la manifestazione sono state arrestate numerose persone e poi tutte rilasciate tranne uno che per adesso risulta desaparecido. Un'altra manifestazione si è svolta a San Pedro Sula nella quale si segnalano pestaggi da parte della polizia, arresti indiscriminati (tra cui due preti del Consejo Latinoamericano de Iglesias che osservavano il rispetto dei diritti umani) ed un altro desaparecido.

Il grande astensionismo e le manifestazioni contro le elezioni golpiste dimostra che il popolo del Honduras continua a cercare un via per opporsi ai vecchi e nuovi golpisti che adesso hanno addirittura un governo già riconosciuto da alcuni Stati; non è che l'Honduras è il primo paese dove si è ricominciato ad esportare la democrazia?

domenica 6 dicembre 2009

La Ley de Caducidad è incostituzionale

In Uruguay esisteva una legge che rendeva impunibili tutti i crimini commessi durante la lunga dittatura (1973-1985) che ha insanguinato il paese; la legge si chiama Ley de Caducidad de la pretensión punitiva del Estado e fu promulgata nel 1986, appena terminata la dittatura, e ratificata nel 1989.
Il 20 ottobre la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale tale legge perché viola il principio di separazione dei poteri; inoltre al momento della sua emanazione non furono seguite le procedure indicate dalla Costituzione. La richiesta di esame da parte della Corte Costituzionale era stata inoltrata dall'avvocato dell'accusa nel processo per l'uccisione di un militante comunista avvenuta nel 1974.
Adesso sarà possibile iniziare i processi contro gli aguzzini della dittatura per provare a scoprire la verità ed a punire i responsabili dei delitti che hanno insanguinato il paese tra il 1973 ed il 1985.

mercoledì 2 dicembre 2009

Eletto Mujica presidente del Uruguay

José Alberto "Pepe" Mujica Cordano, l’ex guerrigliero Tupamaro che ha subito 13 anni di prigionia e torture durante la dittatura, è il nuovo presidente dell'Uruguay.
Il candidato del Frente Amplio ha ottenuto il 51,9% dei voti, mentre il suo rivale, Luís Alberto “Cuqui” Lacalle, del Partito Nazionale il 42.9%; l'affluenza alle urne è stata alta e si è attestata al 89,86% circa.

Mujica è l'espressione del popolo. Pepe iniziò la sua militanza politica nel Partido Nacional e successivamente nel movimento di guerriglia Tupamaros. Guerrigliero fino al 1985, anno della fine della dittatura. Finita la dittatura ritorna a fare il venditore di fiori, lavoro che aveva abbandonato per la militanza politica, nei piccoli mercati di quartiere. Eletto deputato nel 1994 e accettò come compenso economico solamente il salario minimo di un operaio che però non gli permetteva di vivere, per questo continuò a fare il fioraio nei piccoli mercati rionali.

Mujica appena avuto i risultati ufficiali delle elezioni ha tenuto il primo discorso da presidente sotto una forte pioggia e davanti a migliaia di uruguayani che lo stavano festeggiando nel centro di Montevideo. Visibilmente emozionato ha posto come punto fondamentale della sua presidenza l’uguaglianza dei cittadini, ha ricordato che "questo è un giorno storico. Questo governo deve essere migliore di quello precedente perché la vittoria di queste elezioni rafforza le idee in cui crediamo e per cui ci battiamo".
Il neo presidente ha chiuso il suo discorso con i ringraziamenti "ai concittadini, ai fratelli latino americani, ai dirigenti politici che li stanno rappresentando e che rappresentano le speranze finora frustrate di un continente che tenta di unirsi con tutte le sue forze”.

L'elezione alla presidenza dell'Uruguay di un ex-guerrigliero che per vivere vendeva fiori nei mercati di Montevideo forse è la continuazione o il rafforzamento del sogno, iniziato con un militare di umili origini, un operaio sindacalista ed un sindacalista indigeno, di poter avere un "mondo nuovo" che ascolta i popoli e che sia basato sulla pace e la democrazia.