domenica 29 novembre 2009

Nicaragua libero dall'analfabetismo

Nel settembre 2009 il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha dichiarato il proprio paese libero dall'analfabetismo. Il governo Ortega ha iniziato il programma "Yo, sí puedo" poco più di due anni fa ovvero subito dopo la vittoria elettorale; in quel momento la popolazione del Nicaragua aveva circa il 21% di analfabeti mentre oggi se ne contano il 3,5%.
Il paese ancora non è completamente libero da questa piaga culturale ma gli insegnanti nicaraguensi, cubani e venezuelani hanno lavorato molto duramente in tutto il paese.
La conferma che il paese si avvia verso la completa alfabetizzazione è giunta dalla ricerca compiuta dall'UNESCO che ha confermato i dati del Governo Ortega e quindi ha dichiarato il Nicaragua paese libero dall'analfabetismo dato che la soglia di analfabeti, per l'UNESCO, deve essere inferiore al 5% della popolazione nazionale.

Il progetto del Governo è quello di eliminare completamente questo flagello assicurando a tutta la popolazione il diploma della scuola primaria entro il 2015 ed il diploma secondario prima del 2021.
Altro dato, che deve far riflettere, è quello della fascia di età tra i 14 ed i 30 anni dove il programma è intervenuto più massicciamente; la popolazione compresa in questo intervallo è quella che ha "beneficiato" maggiormente della privatizzazione dell'istruzione voluta ed attuata nei 15 anni di governi neoliberisti.

Il Presidente Ortega ha premiato durante la cerimonia per sancire questo primo passo verso la completa alfabetizzazione del paese, il professor Orlando Pineda per il suo lavoro a favore dell'alfabetizzazione durato dagli anni '80 con la Asociación de Educación Popular "Carlos Fonseca Amador" (AEPCFA); Pineda ha affermato che adesso la sfida è quella di "insegnare a tutti i nicaraguensi a leggere e scrivere e contemporaneamente gettare le basi per far si che l'analfabetismo non metta mai più piede in Nicaragua".
Il ministro dell'istruzione De Castilla ha poi aggiunto che adesso è arrivato il momento di riformare il sistema educativo del paese ritornando alla gestione pubblica perché, dopo le riforme liberiste, gran parte delle famiglie nicaraguensi non posso permettersi di mandare i propri figli in scuole private.

martedì 24 novembre 2009

Il popolo degli Awá

In Colombia è presente un popolo che rischia l'estinzione a causa della politica del governo Uribe e dei paramilitari. Gli Awá, che nella loro lingua significa "gente", oggi sono circa 27 mila e popolano un'area di di circa 320 mila ettari che va dalla provincia di Nariño fino alla provincia di Putumayo.
Originariamente gli Awá era un popolo nomade di cacciatori ma sono stati costretti a diventare stanziali ed hanno dovuto iniziare a coltivare la terra ed allevare animali perché era diventato impossibile seguire le migrazione dei branchi.
Il cambiamento è nato quando i coloni europei, poi le guerre civili, poi i cercatori di oro e di risorse del sottosuolo ed infine i cocaleros hanno iniziato ad occupare le loro terre fertili e ricche obbligandoli a cambiare la loro vita e la loro cultura millenaria.
Con problemi sorti con la colonizzazione europea si è aggiunta, negli ultimi tre decenni, la guerra tra FARC e Stato colombiano che vede le loro terre protagoniste degli scontri e delle scorribande dei paramilitari e dei narcos hanno aumentato le minacce alla loro cultura ed alla loro sopravvivenza.
Il popolo degli Awá si sente minacciato a causa della ricchezza delle terre che loro occupano, ed il presidente dell'Unità Indigena (Unica), Gabriel Bisbicus, afferma che esistono "forze oscure, con la complicità di organismi di sicurezza statale" che pedinano, minacciano, perseguitano i nativi; per sostenere questa tesi ricorda che da gennaio 2009 sono stati uccisi 28 indios senza che la polizia abbia individuato mai un colpevole.
L'ultimo episodio che ha visto, sfortunatamente, protagonista il popolo indio è stato il massacro di dodici persone, tra cui sette giovani sotto i diciotto anni ed addirittura un bambino di un anno, avvenuto nella notte del 26 agosto 2009.
Il massacro è avvenuto nell'area di Gran Rosario, nel Tumaco, dove un gruppo di uomini vestiti con mimetica ed incappucciati sono entrati in una casa di El Divisio ed hanno ucciso dodici Awá.
Le indagini della polizia non hanno tenuto conto delle testimonianze di alcuni abitanti del villaggio e di alcune tracce evidenti, come munizioni calibro nove millimetri e le impronte lasciate da anfibi rinforzati, utilizzati dai paramilitari e dall'esercito e non dalle FARC, che invece utilizzano stivali in gomma come i contadini colombiani.
Anche se le prove portano verso i paramilitari o l'esercito, la polizia ha trovato un capro espiatorio che secondo gli investigatori avrebbe ucciso da solo i dodici indio. Il colpevole predestinato è Jairo Miguel Paí, anche lui Awá, che da molto tempo è in conflitto con la comunità indigena che lo ha addirittura espulso perché aiutò i paramilitari in alcune operazioni oltre ad aver estorto del denaro alla comunità Awá.
Il portavoce della comunità dopo l'arresto di Paí ha affermato: "Adesso, quello che vogliono (le autorità di polizia) è che le indagini portino a dei colpevoli, siano quelli che siano, perché noi non condividiamo la tesi secondo cui Paí sia l'autore della strage".
Il luogo dove è avvenuto il massacro non sembra casuale ma piuttosto sembra scelto con cura e con l'intento di punire e avvertire l'intera comunità Awá, perché gli omicidi sono avvenuti in casa di Sixta Tulia García che denunciò con forza l'esercito per la morte del marito, Gonzalo Rodríguez.

giovedì 19 novembre 2009

Ballottaggio in Uruguay

Domenica 15 ottobre 2009 in Uruguay si sono svolte le elezioni presidenziali per la successione al presidente uscente Tabaré Vázquez. Vázquez è stato il primo presidente di centrosinistra (Frente Amplio - FA), dopo 150 anni di ininterrotto governo dei due partiti storici (Partido Blanco e Partido Colorado).
Le urne hanno decretato il ballottaggio tra il candidato Pepe Mujica, del FA ed ex guerrigliero tupamaro, con il 48% dei voti contro il 31% del candidato del Partido Blanco (conservatore) Luis Alberto Lacalle già ex-presidente dal 1990 al 1995.

Non è scontato che il risultato del ballotteggio sia a favore di Mujica perché anche se il suo antagonista al primo turno si è fermato al 48%, può contare sui voti della terzo partito uruguayano, Partido Colorado, che ha ottenuto il 18% dei voti. Con questi dati è possibile prevedere un testa a testa tra i due pretendenti alla presidenza.

domenica 15 novembre 2009

Honduras: verso le elezioni farsa

Il colpo di stato effettuato il 28 giugno 2009 sembrava superato dagli accordo per il ritorno alla democrazia ratificato nell'ottobre 2009 dal presidente legittimo e destituito, Zelaya, e dal dittatore Micheletti. L'accordo voluto, anzi imposto, dagli USA non è mai stato attuato e così oggi l'Honduras vive un nuovo momento di crisi perché il governo golpista di Micheletti lo ha rinnegato in toto non permettendo al legittimo presidente il ritorno nel paese. Il governo Micheletti ha incassato da parte degli USA. il riconoscimento ufficiale delle elezioni che si terranno a fine novembre.
Stando così i fatti i golpisti si sono assicurati il riconoscimento formale e l'appoggio statunitense.
Con tutte queste premesse il Fronte Nazionale di Resistenza contro il colpo di stato ha deciso di boicottare le elezioni e quindi di ritirare il proprio candidato Carlos H. Reyes; la decisione è stata presa dopo una consultazione interna che ha visto il voto di 15.000 persone delle quali circa il 94% si è espresso a favore del boicottaggio.

Con la decisione del Frente di non partecipare alle elezioni pilotate apre una nuova fase di resistenza civile che conta già cinque mesi di lotte. Sarà molto difficile per il popolo honduregno riuscire a resistere alle pressioni che arriveranno, a dire il vero sono già arrivate, dell'esterno (USA) e dall'interno (militari e formazioni paramilitari); oltre a questo si deve riflettere sul ruolo dei media internazionali che hanno deciso di stendere una cortina di fumo per far dimenticare all'opinione pubblica il nuovo esperimento di instaurazione da parte statunitense di un governo fantoccio come accadde già nel XX secolo in Sud America.

giovedì 12 novembre 2009

Ripristinati i diritti costituzionali

Il 21 ottobre in Honduras il governo golpista di Micheletti ha ufficialmente sospeso il decreto emesso in settembre che sospendeva gran parte dei diritti costituzionali.
Grazie a questa sospensione i cittadini hondureni potranno tornare e riunirsi e manifestare senza la paura di essere arrestati; anche i mezzi di informazione che sono stati chiusi come Radio Globo e Canal 36 potranno riprendere le trasmissioni.

La notizia della ratifica del decreto è stata data dal governo golpista che ha affermato che "dal momento in cui si è messa in moto questa misura nelle strade di questa capitale, sono cessate le manifestazioni degli zelaysti, che avevano come obiettivo, oltre quello di uscire per le strade a protestare, quello di delinquere. Come è accaduto quando hanno distrutto i negozi".
La realtà e la verità ancora una volta viene invertita e manipolata da chi ha cacciato il legittimo presidente con la forza militare e non vincendo le elezioni. Al momento dell'ufficializzazione del ripristino dei diritti costituzionali a Tegucigalpa, sono continuate le manifestazioni spontanee, e la bullaranga, ovvero le persone che nelle proprie case sfidava coprifuoco facendo un rumore assordante con ogni oggetto che capitava nelle loro mani, è continuata e se possibile più assordante dei giorni precedenti.

martedì 10 novembre 2009

Termina il golpe in Honduras?

Dopo più di 4 mesi dalla deposizione del Presidente Zelaya da parte delle forze golpiste guidate da Micheletti la trattativa per il ritorno alla democrazia sembra arrivare al suo epilogo.
L'OEA (Organizzazione degli Stati Americani) ha reso pubblico la firma dell'accordo, avvenuta il 29 ottobre 2009, tra le delegazioni del legittimo Presidente Manuel Zelaya e quella del golpista Roberto Micheletti.
(L'accordo prevede che sia il Congresso Nazionale a decidere se reinsediare o no Zelaya come presidente fino alle elezioni presidenziali di fine novembre.)

La soluzione alla stallo che durava da più di un mese, cioè da quando è arrivato a Tegucigalpa il presidente Zelaya che poi si è rifugiato nell'ambasciata brasiliana, si è avuta con l'arrivo del segretario di Stato USA per l'Emisfero occidentale, Thomas Shannon, che ha avuto un incontro con la delegazione golpista la quale ha deciso di accettare le richieste che ha sempre respinto con fermezza.
Roberto Micheletti, il capo dei golpisti, ha deciso di avvallare il piano di pace che gli USA hanno sponsorizzato solo negli ultimi giorni di ottobre. Micheletti ha dichiarato: "Il mio governo ha deciso di appoggiare la proposta di far decidere al parlamento, dopo aver ascoltato la Corte suprema di giustizia, se riportare il potere esecutivo della nostra nazione a prima del 28 giugno."
Shannon dopo aver ottenuto la firma dell'accordo ha affermato:"Gli Stati Uniti accompagneranno l'Honduras fino alle elezioni del 29 novembre"; mentre il segretario di Stato, Clinton, ha commentato: "Voglio rallegrarmi con il popolo del Honduras, così come con il presidente Zelaya e con il signor Micheletti per aver raggiunto questo storico accordo".

L'accordo sottoscritto prevede che sia il parlamento, che vede al suo interno solo deputati che hanno appoggiato il golpe perché gli altri o si sono dimessi o sono stati espulsi, decida se reinsediare o meno Zelaya. Zelaya accettando questo accordo ha riconosciuto un parlamento formato da golpisti.
Dato per scontato che Zelaya verrà reintegrato si formerà un governo di unità nazionale che sarà sciolto dopo le elezioni del 29 novembre, che fino ad alcuni giorni prima della firma dell'accordo erano illegittime per lo stesso Zelaya ma che oggi accettando la guida del governo di unità nazionale le rende "legali". Da tutto ciò si evince che la forma democratica delle elezioni è salva perché si tengono non in presenza di un governo auto proclamato ma di fatto la democrazia viene umiliata.
La speranza per un ritorno alla vera democrazia che porti ad una assemblea costituente, come il popolo desidera ed ha sottolineato resistendo per più di quattro mesi al golpe manifestando pacificamente, è quello che uno dei due candidati alla presidenza Carlos H. Reyes e Cesar Ham, che da subito si sono opposti al golpe, possa vincere il 29 novembre.
La loro vittoria è molto improbabile dato che i quattro candidati Porfirio Lobo Sosa, del Partido Nacional, Elvin Santos, del Partido Liberal, Bernard Martínez, del Partido Innovación y Unidad e Felícito Ávila, della Democracia Cristiana, sono già in campagna elettorale da alcuni mesi oltre ad aver appoggiato i golpisti.

sabato 7 novembre 2009

Lo stallo nelle trattative

I colloqui che dovrebbero permettere al presidente legittimo del Honduras di tornare nel suo paese oltre a far terminare la dittatura instaurata il 28 giugno 2009 si stanno svolgendo a Tegucigalpa.
Il negoziati sono basati sull'Accordo di San José, promosso dal presidente del Costa Rica Oscar Arias, che prevede il ritorno di Zelaya, l'amnistia politica ed un governo di riconciliazione. Le notizie che trapelano dagli incontri sono frammentarie e vengono smentite immediatamente da entrambe le parti; anche se una notizia è certa ed è quella che Micheletti vorrebbe le elezioni generali il 29 novembre 2009; ma la comunità internazionale ha bocciato questa possibilità, affermando che fino a che Zelaya non tornerà al potere non sarà possibile svolgere delle elezioni realmente democratiche.

La resistenza del popolo hondureno è pacifica ma sfortunatamente il regime ha cercato di reprimere il movimento di resistenza con la violenza; infatti si contano 18 morti (4 durante le manifestazioni e 14 per esecuzioni extragiudiziali), 300 feriti da catene di metallo e pallottole, poi ci sono 3000 persone detenute illegalmente; 39 di queste hanno iniziato lo sciopero della fame contro la loro detenzione.

Il Frente contra el golpe en Honduras sta dando una dimostrazione tangibile che resistere al golpe è possibile e soprattutto è possibile resistere pacificamente. Se il movimento avesse imbracciato le armi, sarebbe esplosa una sanguinosa guerra civile e, fatto fondamentale, il popolo non avrebbe seguito i guerriglieri e di conseguenza la resistenza ai golpisti avrebbero perso l'appoggio popolare e quindi la propria forza.
Il Frente contra el golpe en Honduras non è composto solo da persone pro Zelaya (eletto nelle liste del conservatore partito liberale); il movimento lo appoggia perché è il presidente democraticamente eletto e perché ha teso la mano al popolo soprattutto a quello più povero.
Zelaya si è avvicinato molto al popolo quando si è fatto promotore di una proposta popolare, firmata da 45000 hondureni, sulla convocazione di una nuova assemblea costituente ed è per questo che il 28 giugno 2009, giorno del golpe, il popolo si sarebbe dovuto esprimere se inserire nella tornata elettorale del 29 novembre anche il referendum.
Chi si opponeva a Zelaya ed al rischio di vedere vincere il referendum per riscrivere una nuova Costituzione ha mentito affermando che in questo modo Zelaya avrebbe modificato la carta costituzionale per farsi rieleggere ma questo non è e non era possibile perché il 29 novembre 2009 si sarebbe dovuto votare contemporaneamente per il nuovo Presidente e per decidere se scrivere o meno una nuova Costituzione.

A più di quattro mesi dal golpe in Honduras il popolo sembra aver fatto suo l'articolo 3 della Costituzione, il quale recita che non è dovuta nessuna obbedienza a chi usurpa il potere, e che è legittimo combattere gli usurpatori. La speranza è che il popolo honduregno resista e che dell'esterno arrivi un vero e proprio sostegno.

martedì 3 novembre 2009

Honduras, cosa sta accadendo?

I negoziati tra Zelaya ed il governo golpista che lo ha deposto sono iniziati ma con loro è iniziata anche la repressione contro la popolazione che appoggia il legittimo presidente .
Nella capitale, Tegucigalpa, la situazione è molto grave; molte persone sono state arrestate e si sono dichiarate "prigionieri politici"; alcune delegazioni che vigilano sul rispetto dei diritti umani cercano di presidiare ogni area della capitale per evitare che l'esercito e la polizia arrestino indiscriminatamente che si oppone al regime.

Le azioni intraprese dal golpista Micheletti si sono inasprite, a soli tre giorni dal ritorno di Zelaya in Honduras, decidendo di sospendere le libertà sancite dalla Costituzione per 45 giorni, dando poteri speciali all'esercito e polizia, vietando la libera circolazione e la riunione delle persone e prevedendo inoltre la chiusura di alcuni mezzi di comunicazione. Infatti Canal 36 e Radio Globo sono state chiuse perché ree di aver trasmesso notizie allarmanti e perché sostenitrici di Zelaya.
Dopo la sospensione dei diritti costituzionali il governo golpista ha bloccato anche i negoziati espellendo anche i mediatori dell'OEA; il ministro degli Esteri del governo de facto ha intimato al Brasile che se entro 10 giorni non si definisce lo status di Zelaya, l'ambasciata perderà ogni suo diritto diplomatico. In reazione a questa minaccia, il presidente Lula da Silva ha ribadito con fermezza che ogni ambasciata è tutelata dal diritto internazionale e "se i golpisti entreranno con la forza nell'ambasciata, considereremo violata ogni norma internazionale".

Il ministro degli esteri del Governo di Manuel Zelaya, Patricia Rodas, ha denunciato che sono stati lanciati gas tossici contro l'ambasciata brasiliana, a Tegucigalpa, che ospita il presidente Zelaya.
Patricia Rodas ha portato come prove all'Assemblea Generale dell'ONU le analisi di uno specialista che ha raccolto campioni di aria e terreno vicino all'ambasciata brasiliana in cui si evidenziano elevate concentrazioni di ammoniaca, di acido cianidrico che vengono utilizzati nei gas tossici e che provocano vertigini, nausea, vomito, mal di testa e difficoltà respiratorie. Il Ministro ha poi chiesto l'invio urgente di una missione sanitaria guidata dall'ONU perché in Honduras si sta reprimendo il dissenso con una guerra irregolare supportata anche da armi chimiche.

I manifestanti honduregni si continuano a mobilitare continuando la loro resistenza ed aspettano, forse invano, un aiuto esterno che ancora tarda ad arrivare.

domenica 1 novembre 2009

Ancora una condanna per Contreras

Manuel Contreras, ex capo della Dina (Intelligenze cilena), è stato nuovamente condannato dalla Corte Suprema cilena a 15 anni di reclusione per aver ordinato il sequestro e l'uccisione di due oppositori politici della dittatura militare di Pinochet.
Insieme a Contreras sono stati condannati anche l'ex agente della DINA, Miguel Krassnoff, ed il colonnello, ormai in pensione, Ciro Torres.
I tre sono stati condannati per l'omicidio di Lumi Videla uccisa il 3 novembre 1974 durante un interrogatorio diventato poi una tortura che si tenne nel palazzo della Dina. Lumi era la moglie di Sergio Perez Molina, capo del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (Mir), che fu rapito il 22 settembre 1974 e su cui non si hanno più notizie, ancora oggi è un desaparecido.