sabato 29 marzo 2008

Il petrolio venezuelano chi lo controlla e che lo vorrebbe controllare

Nel 2001 il presidente Hugo Chavez ed il suo governo iniziarono a recuperare la sovranità sulle risorse naturali del Venezuela che fino ad allora erano depredate da multinazionali estere come la Exxon-Mobil, Conoco-Phillips, ENI, Total, BP e Shell; così per dar corso a questo proposito il governo venezuelano propose una modifica della costituzione che, successivamente, fu approvata con larghissima maggioranza.

Per dare corso alla modifica costituzionale il governo venezuelano impose la rinegoziazione dei contratti alle multinazionali con l'obbligo di costituire società miste, con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA, qualora le imprese estere avessero deciso di continuare la loro opera in Venezuela.
Per la rinegoziazione dei contratti il governo bolivariano proponeva un indennizzo economico e la creazione di società miste con il 60% in mano alla PDVSA ed il 40% alla società estera; Total, BP e un’altra decina di compagnie petrolifere, hanno accettato gli indennizzi proposti, di formare società miste e di guadagnare un equo 40% (il 50% in meno rispetto ai guadagni prima dell'insediamento del governo Chávez).
A metà febbraio anche ENI ha accettato l'offerta del Venezuela ed in quella occasione il ministro di Energia e Petrolio del Venezuela, Rafael Ramírez, ha ribadito che tutti gli accordi siglati con le multinazionali estere "sono passi nella battaglia per difendere i nostri interessi e le loro risorse naturali" e ha continuato il proprio intervento affermando che "nella cornice delle nostre leggi diamo il benvenuto a tutte le imprese che vogliono lavorare con il controllo e la direzione dello Stato venezuelano in settori tanto strategici come l’industria petrolifera, così come è stabilito nella nostra Costituzione".

Due multinazionali USA la Exxon-Mobil e la Conoco-Phillips si rifiutano da anni di firmare gli accordi con il governo bolivariano e la Exxon si è rivolta al tribunale di New York per congelare beni della PDVSA per 12 miliardi di dollari che corrisponderebbero all'ammontare delle perdite subite dalla società dal momento dell'entrata in vigore della nuova costituzione del Venezuela. Il tribunale di New York ha congelato i beni ed ha affermato che non sarebbe sufficiente un profitto del 40% che genererebbe la società tra Exxon e PDVSA; questo è soltanto il primo round di una battaglia legale che si annuncia molto dura.

Secondo alcuni analisti politici la battaglia legale della Exxon fa parte di una ampia strategia del governo statunitense per indebolire e sostituire il legittimo governo venezuelano; secondo altri analisti, per lo più statunitensi, sarebbe Hugo Chávez che con le minacce di sospensione delle forniture di petrolio agli Stati Uniti, attenterebbe alla sicurezza nazionale a stelle e strisce.
La Exxon-Mobil ha iniziato la battaglia per il controllo del petrolio Venezuelano ma la posta della guerra è la sovranità stessa del Venezuela.

mercoledì 26 marzo 2008

Usa e Colombia infiltrano militari e paramilitari in Venezuela

A metà febbraio il presidente venezuelano Hugo Chávez nel programma domenicale che lo vede protagonista ha riacceso i riflettori sui vari sconfinamenti che esercito e gruppi di paramilitari colombiani ed agenti della DEA statunitensi compiono in territorio venezuelano con il pretesto di inseguire i trafficanti di droga. Chávez ha affermato che "Abbiamo identificato la loro presenza negli stati di Barinas, Tachira e Zulia. Vogliono riempirci di paramilitari." Le infiltrazioni dalla Colombia nella maggioranza dei casi non accadono perché i militari inseguono i narcotrafficanti ma perché si vuole mantenere alto il livello di tensione nella zona del confine tra i due stati.

La frontiera tra Colombia e Venezuela è un territorio difficile immerso nella foresta, che da moltissimi anni subisce lo scontro tra lo stato Colombiano e le FARC, subisce le grandi infiltrazioni di paramilitari che controllano oggi il mercato della cocaina e che dalla frontiera esportano la loro droga verso gli Stati Uniti. Nelle zone di frontiera citate da Chávez si hanno notizie e prove che confermano sequestri, esecuzioni sommarie, omicidi di sindacalisti e di agricoltori insomma storie colombiane in territorio venezuelano.

La denuncia del presidente venezuelano ha delle prove inconfutabili a suo supporto Per esempio, nel maggio del 2004, 53 persone armate e in mimetica furono arrestate in una finca (azienda agricola) di proprietà di un famoso anti-castrista e anti-chavista che negli anni precedenti aveva collaborato con la CIA. Le indagini ed i documenti rinvenuti nella finca portarono all'identificazione delle 53 persone; erano riservisti dell'esercito colombiano ed il loro governo non poté far altro che riconoscerli a causa delle inconfutabili prove raccolte dalla polizia locale.

Sempre a metà febbraio il capo della CIA nella sua relazione ha puntato l'attenzione sull'indebolimento e relativa destabilizzazione del governo Chávez; i mezzi utilizzati in passato, per attuare gli intenti statunitensi, come il golpe intentato da Dulcamara e il presidente degli industriali Carmona non possono più essere riutilizzati, per cui si cerca di utilizzare nuove armi e tattiche, come appunto le infiltrazioni in territorio venezuelano, per destabilizzare il governo Chávez.

Secondo alcuni osservatori, il capo del governo venezuelano ha pronunciato queste parole non solo per denunciare i fatti in questione, ma anche anche per fare indirettamente trapelare la sua volontà di non scendere a compromessi anche su altre questioni di affari internazionali che per il momento non sono sotto la luce dei riflettori.

sabato 22 marzo 2008

L'importanza della Colombia per gli USA

La Colombia attualmente è una degli ultimi paesi del Sud America che ha un governo di destra, oltre ad essere un forte e storico alleato degli Stati Uniti, che già negli anni '60 la definiva come "pietra angolare" o la "porta di accesso" del Sud America. La sua importanza strategica è dettata dalla sua posizione essendo bagnata da due oceani e dalle sue enormi ricchezze: petrolio (ottavo esportatore mondiale), caffè (terzo), banane (secondo), smeraldi (primo), fiori (primo) oltre a legname, oro, uranio e carbone.

Queste caratteristiche fanno della Colombia uno dei partner privilegiati per gli USA, perché riesce a garantire un controllo geografico dell'area Latino Americana oltre ad un'enorme forziere di materie prime. In questa ottica si deve collocare la firma febbraio 2006 del trattato bilaterale di libero commercio (TLC) che apre le porte della Colombia allo sfruttamento nord americano; alla firma del trattato si sono levate numerose proteste ed è cresciuta le componente politico-militare delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito del Popolo) in contrapposizione al modello liberista indicata dagli USA e dal Presidente Uribe.

I due paesi per poter far fronte all'avanzata delle Farc hanno concepito un piano militare che ha portato in Colombia miliardi di dollari (3 in 5 anni), elicotteri da guerra Black Hawk ed Huey, aerei-spia OV 7-Bronco ed aerei da guerra, tecnologie belliche di ultima generazione, addestramento, la dotazione di armamenti per i battaglioni dell'esercito e della contro-guerriglia, mercenari sotto copertura di società straniere di "lavoro interinale" (Dyncorp) che ricevono gli ordini dal Comando Sud degli USA.

Il nome di questo accordo è Plan Colombia che ufficialmente serve per fronteggiare il narcotraffico sempre più fiorente e forte; l'innumerevole quantitàò di mezzi e uomini dell'esercito colombiano e della DEA (Agenzia antidroga USA) che ufficialmente combattono il narcotraffico, riescono a proteggere gli interessi e le infrastrutture delle multinazionali, come nel caso dell'Occidental Petroleum (OXY) e dell'oleodotto colombiano Caño Limón-Coveñas; e in più a combattere militarmente le FARC. Con le varie operazioni militari anti droga il duo Colombia-USA sconfina frequentemente dal suolo colombiano e genera numerose tensioni politiche nell'area che rallenta il consolidamento dei processi politici in Venezuela, Ecuador, Bolivia e Brasile. Sempre grazie al Plan Colombia gli USA hanno il pretesto di riposizionare e potenziare le loro basi militari dislocate nel paese oltre a dislocare finte basi di ricerca sulla biodiversità molte delle quali scoperte dai paesi che le ospitavano (Bolivia e Ecuador).

Il Plan Colombia non sta dando i risultati sperati, anzi il suo fallimento è dimostrato dalla immutata forza delle FARC che sta reggendo all'offensiva militare dell'esercito e dalla costante produzione della cocaina colombiana nonostante le fumigazioni aeree che hanno il compito di distruggere le piantagioni. Le piantagioni non sono diminuite o scomparse: si sono solamente spostate dove prima dell'inizio delle fumigazioni la coca non era nemmeno concepita; il prezzo, la purezza e la disponibilità di cocaina nelle città statunitensi resta invariata se non addirittura aumentata. Tutta questa operazione ha poco a che fare con la guerra alla droga e molto di più con la protezione degli interessi politici ed economici degli Stati Uniti nella regione Latino Americana.

La situazione colombiana riporta alla memoria il conflitto Medio Orientale seppure con le sue differenze, ma un minimo comune denominatore c'è, ed è il petrolio. In Colombia le piantagioni di cocaina forse diminuiranno ma di petrolio ce ne è ancora molto, e fino a che non si esaurirà il petrolio o cambierà la guida politica nella regione ci saranno i fiumi di dollari delle multinazionali USA ed insieme a loro i gruppi armati, che se ne andranno quando non ci saranno più denaro e potere.

giovedì 20 marzo 2008

Gli USA e la transizione cubana

La Commissione USA "Cuba Libera" nel 2004 ha presentato una relazione nella quale si impegnava a sostenere un cambio di regime a Cuba e si auspicava il ritorno dell'isola sotto la completa influenza della Casa Bianca, oltre al ritorno ad un'economia liberista. Con queste premesse la macchina di propaganda USA si mise in moto e così iniziò il lavoro del Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) che da sempre distributrice in tutto il mondo le verità riviste e corrette dal governo USA.
Alla fine del 2007 sui canali televisivi in lingua spagnola di Miami, creati per fare propaganda e contro-informazione a Cuba, hammo posto il loro falso obiettivo sulla società cubana dipingendola come scontenta del proprio paese, della propria società ed in preda a tensioni interne sempre più forti e violente.
Assieme all'IRI è sceso in campo il NED che dalla fine del 2006 ha aumentato considerevolmente l'invio di denaro ai falsi oppositori dello stato cubano per cercare di creare tensioni all'interno di Cuba e consenso nel mondo per un'eventuale intervento Statunitense, per un indebolimento della Rivoluzione o per l'eliminazione dalla vita politica di Fidel Castro.

Il 19 febbraio è avvenuto quello in cui ben dieci presidenti USA hanno sperato e agito per far cadere Castro e la Rivoluzione da quando nel 1959 fu cacciato il dittatore filostatunitense Batista. Nessun cubano è sceso in piazza a festeggiare o si è ribellato tantomeno si è generato quel caos che poteva mettere in ginocchio l'isola. La ragione per cui non è accaduto nulla di tutto questo è semplice: Fidel Castro e la sua amministrazione ha preparato tutto in modo meticoloso e saggio rendendo partecipi i cittadini cubani della vita politica e sociale, facendoli crescere intellettualmente ed eticamente grazie alla Rivoluzione che ha dato a tutti la possibilità di istruirsi e di curarsi; ma anche perché la Rivoluzione ha un'etica umanista, internazionalista e solidarista.

Il ritiro dalla scena politica di Castro non ha colto impreparata la Rivoluzione e non ha scatenato nessun terremoto come si auspicavano gli Usa ma ha dimostrato che la successione tanto auspicata dai nemici e temuta dagli amici di Cuba è stata preparata e successivamente attuata senza nessuno scossone.

La rivoluzione cubana dopo la decisione di Fidel Castro di non accettare nuovamente la Presidenza del Consiglio di Stato entra in una nuova fase. Potrebbe sembrare che l'elezione al posto di Fidel del fratello Raul non abbia modificato niente, ma non è così.Il processo politico nell'isola è vivo e si evolve autonomamente; i cambiamenti nella politica dell'isola caraibica si vedranno ma non saranno quelli che i nemici della rivoluzione auspicano, perché l'evoluzione della Rivoluzione ci sarà, ma sarà come quella percorsa dal 1959 ad oggi e cioè alla Cubana.

sabato 15 marzo 2008

Si riapre il dialogo tra Uribe, Chávez e Correa

Il 7 marzo, durante l'incontro annuale del Gruppo del Rio, Chávez ha invitato alla ripresa del dialogo per la risoluzione pacifica dei problemi e delle tensioni che si sono generate dopo l'incursione dell'esercito colombiano in territorio ecuadoriano.

Chávez ha affermato che un eventuale conflitto armato con la Colombia è da scongiurare con ogni mezzo e non può essere la soluzione ai problemi che si sono presentati perché la guerra porterebbe solo ad un'ecatombe di innocenti.

Oltre all'auspicio di un dialogo, Chávez afferma che in questa settimana non ha mai smesso di dialogare con le FARC per cercare la liberazione di altri ostaggi in loro mano; ha mostrato un breve filmato in cui ci sono sei militari di Bogotà sequestrati dalla Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia che si dicono pronti a liberare gli ostaggi se Uribe permetterà un'operazione simile a quella avvenuta agli inizi di gennaio.

Il giorno successivo alle dichiarazioni del presidente venezuelano i capi di stato dei paesi Sud Americani riuniti a Santo Domingo per il vertice dell'America Latina hanno cercato di far dialogare Uribe, Correa e Chávez ed al termine della giornata di colloqui e di incontri è avvenuto ciò che non sembrava possibile; Chávez, Correa e Uribe si sono stretti la mano ed hanno sottoscritto un'intesa di non aggressione.

Le parole pronunciate da Chávez dopo la firma del trattato hanno avuto un lungo applauso ed hanno portato Uribe ad alzarsi per andare a stringere calorosamente la mano di Chávez e di Correa.

Adesso dopo questa insperata distensione l'auspicio è che si possa finalmente dialogare per integrare maggiormente la Colombia nei rapporti Latino Americani e di trovare, tutti insieme, una via pacifica al lunghissimo conflitto con le FARC.

mercoledì 12 marzo 2008

Crisi fra Colombia, Venezuela ed Ecuador

L'offensiva politico-militare della Colombia nei confronti delle FARC, del Venezuela e dell'Ecuador si è concretizzata il primo di marzo con l'attacco dell'esercito colombiano ad un accampamento delle FARC in territorio ecuadoriano che ha lasciato sul campo 16 guerriglieri più il comandante Raul Reyes.
Reyes era il secondo comandante in capo delle FARC ma era anche l'interlocutore con cui Chávez e la diplomazia mondiale avevano trattato e trattavano la liberazione degli ostaggi, prima tra tutti Ingrid Betancourt.

Lo scontro tra FARC ed esercito colombiano è avvenuto in Ecuador e ha scatenato, le giuste rimostranze diplomatiche del presidente Correa; episodi di sconfinamento dei militari di Bogotà si sono verificati molte altre volte in passato, non solo in Ecuador, ma anche in Venezuela, e sempre con il pretesto di inseguire i guerriglieri delle FARC.

I presidenti Correa e Chávez hanno più volte chiesto al loro omologo Uribe di non effettuare operazioni militari nei loro territori senza una loro autorizzazione o collaborazione, ma questi inviti non sono mai stati accolti.

Uribe ha sempre considerato le FARC un gruppo di terroristi e non ha mai tentato nessun dialogo con loro per la risoluzione pacifica del conflitto e per la liberazione degli ostaggi; questa posizione è dettata dall'appoggio degli USA che finanziano il governo di Bogotà con milioni di dollari per sovvenzionare il Plan Colombia.

L'attacco al gruppo delle FARC in territorio ecuadoriano è la risposta agli enormi passi avanti fatti dalle diplomazie di Venezuela, Ecuador, Brasile, Argentina e Cuba con le FARC. Questi paesi hanno offerto un'alternativa alla politica aggressiva colombiana e statunitense, che non aveva portato a nessun risultato se non alla morte di molti guerriglieri e militari.

Il dialogo creato dalle diplomazie sudamericane aveva portato nel gennaio 2008 alla liberazione di alcuni ostaggi rapiti dai guerriglieri ed aveva gettato le basi per un dialogo e relativa trattativa per la liberazione di Ingrid Betancourt. Il tutto dimostrava che l'integrazionismo latino americano poteva generare una serie di risultati impensabili fino alla fine del 2007. Il rapporto cercato e instaurato con le FARC era basato sulla ricerca di una soluzione pacifica del conflitto.

La Colombia ha bombardato in piena notte l'accampamento del comandante Reyes, con sofisticati missili statunitensi, con la collaborazione tecnico-militare degli USA. In questo modo Uribe ha bloccato il dialogo pacifico faticosamente instaurato ed ha ribadito che l'unica soluzione possibile, per Colombia e USA, è l'uso della forza.

La violazione dei confini dell'Ecuador con l'atto di guerra dovuto ed autorizzato, secondo Uribe, dai movimenti delle milizie delle FARC e dall'appoggio offerto loro da Chávez e Correa, ha portato questi ultimi a schierare, per protezione, parte dei loro eserciti ai confini con la Colombia, a chiedere l'intervento delle Nazioni Unite ed infine a chiedere formali scuse al governo aggressore.

Le scuse da parte di Uribe ci sono state ma contemporaneamente ha accusato i due capi di stato di dare appoggio alle FARC e di essere in possesso di documenti che lo provano. Queste dichiarazioni hanno fatto precipitare ancora di più la situazione. La risposta alla accuse è stata l'espulsione dei due ambasciatori colombiani da Venezuela e Ecuador, e la chiusura delle loro ambasciate in Colombia.

Il cammino intrapreso da Uribe se non finirà presto porterà molto difficilmente alla liberazione degli ostaggi ancora in mano alle FARC e la famiglia Betancourt ha attaccato, ancora una volta, molto duramente il presidente colombiano, definendo il bombardamento e la morte di Reyes "un sabotaggio da parte di Uribe per impedire la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi". La senatrice colombiana Piedad rdoba, che ha sempre riconosciuto il ruolo di Raul Reyes come l’uomo incaricato delle trattative, ha definito l'attacco ordinato da Uribe come "un gesto premeditato contro la pace".

La Colombia, e gli USA che ne hanno armato e sovvenzionato il governo, hanno la possibilità di destabilizzare il Sud America, avviato sul cammino dell'integrazione e della completa indipendenza dagli organi comandati da Washington, come la Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. La risposta a chi crea queste tensioni nel continente meno belligerante del pianeta deve essere ferma e decisa ma non deve reagire alle provocazioni che i maestri della sovversione statunitense potrebbero continuare a mettere in atto; la via da percorrere è e rimane la pace e l'integrazione dei governi che si sono affrancati dalla politica coloniale degli USA, sebbene la via sia piena di sabotatori.

sabato 8 marzo 2008

Auspici del Partito Comunista Brasiliano

Il comitato Centrale del Partito Comunista del Brasile (PCdoB) ha redatto un documento in cui sostiene l’integrazione latino americana ed esorta il parlamento del Brasile ad approvare l’ingresso del Venezuela nel Mercato Comune del Sud (Mercosur).

Il PCdoB auspica che con l'ingresso del Venezuela nell'organizzazione si attui un nuovo e più deciso “rafforzamento del blocco che contribuisca al suo consolidamento”. Sempre in questo documento si respingono fortemente le manovre di disturbo della destra brasiliana che osteggia l'entrata della patria di Bolivar nel Mercosur considerandola espressione “della politica dell’imperialismo che ad ogni costo cerca di isolare il Venezuela”; si continua affermando che “il Venezuela è il bersaglio dell’odio e dell’accanimento dell’imperialismo e di settori servili delle classi dominanti per il carattere avanzato del governo di Chavez, per il contenuto antimperialista, democratico, patriottico e popolare della sua gestione, e per la sua determinazione a costruire il socialismo”.

Il PCdoB considera che ogni manovra politica che allontana i due Paesi sia dannosa per entrambi in quanto si pregiudica il processo di integrazione; appoggia decisamente il governo di Lula nello sforzo di costruire l’integrazione e nel suo impegno teso a preservare e a coltivare relazioni di solidarietà e di amicizia tra il Brasile e il Venezuela. In tal senso, sottolineiamo la necessità di un pronto dialogo tra i due capi di Stato, Luiz Inacio Lula da Silva e Hugo Chavez, alla ricerca di un’intesa politica elevata che superi gli ostacoli esistenti.

L’America Latina vive un periodo di forti cambiamenti e di enormi speranze. La democrazia rinata dopo gli anni bui delle dittature militari, la sovranità nazionale ritrovata, lo sviluppo e le qualità della popolazione fanno maturare e crescere il continente. Speriamo che questa spinta non si esaurisca ma si rafforzi anche grazie all'integrazione economica e politica che il Mercosur offre.

domenica 2 marzo 2008

Uno stupefacente attacco degli USA al Venezuela

Il governo USA, nella classica conferenza stampa di inizio anno in cui si tracciano i bilanci dell'anno precedente per la lotta al traffico di droga, ha affermato che il Venezuela non ha interesse a bloccare o almeno contrastare il passaggio degli stupefacenti dal proprio territorio. Nel continuo della conferenza stampa si afferma che la motivazioni per cui ONA (Oficina Nacional Antidrogas venezuelana) non contrasta il traffico di stupefacenti hanno un fine politico di destabilizzare socialmente gli USA con l'aumento del consumo di droga. Il portavoce USA conclude che il comportamento del Venezuela verrà evidenziato nelle sedi più opportune come tra le assemblee dell'ONU.

Le accusa sono state rigettate con forza dall'ambasciatore venezuelano Néstor Reverol all'Organizzazione degli Stati Americani, secondo il quale le dichiarazioni USA sono state irresponsabili e false. Per supportare il proprio punto di vista Néstor Reverol ha reso pubblici i dati che dimostrano che in tre anni dalla riorganizzazione dell'ONA, il traffico di stupefacenti in Venezuela è stato dimezzato del 50%, sono state sequestrate 52 tonnellate di droga nel solo 2007, sono state arrestate 4000 persone per il traffico di stupefacenti ed infine sono stati scoperti e distrutti circa 20 centri per la raffinazione della cocaina.

Il governo Chavez ha prodotto una nuova legislazione, molto più severa e snella, per intervenire e cercare di bloccare il traffico di stupefacenti nel proprio territorio.

L'agenzia dell'ONU che si occupa del traffico di stupefacenti, ha reso noto che circa il 75% della droga che arriva in USA proviene dalla Colombia, transitando per l'oceano Pacifico o con voli diretti tra la Colombia e gli USA; in più ha riconosciuto i grandi passi avanti dello stato venezuelano nel controllo del territorio e delle frontiere con la Colombia.

Stranamente gli USA adottano una politica estera di aggressione sia verbale sia "fisica" (invasione Iraq, Afganistan, Panama e molte, molte altre) contro i Paesi che non si allineano alle loro volontà e non tengono, volutamente, in considerazione oppure nascondono dei dati fondamentali che vengono diffusi da ONG o dall'ONU per il proprio tornaconto.