venerdì 27 giugno 2008

Il presunto computer di Raul Reyes

Durante lo sconfinamento dell'esercito colombiano in territorio ecuadoriano del primo marzo del 2008 per attaccare un accampamento delle FARC, sono rimasti uccisi numerosi guerriglieri oltre che al numero due della guerriglia Raul Reyes.
In quell'operazione che si svolse con il supporto aereo degli USA perché l'esercito colombiano, per ammissione di uno dei suoi generali, "non ha la tecnologia aerea per sostenere un bombardamento simile" fu recuperato intatto un computer portatile la cui proprietà fu subito attribuita a Raul Reyes.

Dentro il presunto computer di Reyes sarebbero stati trovati secondo il governo di Bogotà documenti in cui si evidenzia la collaborazione tra FARC ed il governo del Venezuela (verbali di riunioni tra comandanti delle FARC e autorità venezuelane ed ecuadoriane, reperimento di armi attraverso la Bielorussia e finanziamento del gruppo guerrigliero), le accuse si sono sempre rinnovate ma il tanto prezioso computer non è mai stato mostrato nè i suoi documenti sono stati resi pubblici ed esaminati. A giorni gli agenti del Interpol visioneranno il P.C. e redigeranno il proprio rapporto; sull'esame del Interpol Chavez nel suo programma domenicale "Alò Presidente" ha affermato che "l'Interpol dirà che ha revisionato il pc e che non ci sono state manipolazioni di sorta. Come avrebbero potuto mettere tutte queste informazioni? Figurarsi! È ridicolo! Ma attenzione alle ridicolezze! Perché così come Bush ha inventato le armi distruzione di massa (in Iraq), ora un altro computer dice che noi stiamo appoggiando il terrorismo, che diamo soldi e armi alle FARC, il tutto per cercare una scusa per eliminare Chavez".

Il Wall Street Journal in una sua uscita pre-esame del computer di Reyes, ha scritto che fonti sicure provenienti dall'Interpol considerano veritieri i documenti archiviati nel PC, e che tutte le accuse e sospetti contro il governo Chavez sono fondati.
Chavez teme che le accuse, ancora non provate, portino ad una paralisi delle relazioni tra i due paesi e successivamente ad un vero e proprio scontro tra Venezuela e Colombia, con gli USA pronti ad intervenire in soccorso di quest'ultima. Il presidente venezuelano ha reso noto che esistono manovre dell'esercito colombiano al confine con il Venezuela ed in particolare nelle regioni di Zulia e Tachira. A complicare il quadro nella ricca provinciali Zulia, governato dal leader dell'opposizione venezuelana Manuel Rosales, ci sono documenti resi pubblici dall'intelligence venezuelana in cui si notano grandi quantità di denaro che gli Usa destinano all'opposizione locale per promuovere la secessione della regione.

Il presidente venezuelano ha posto l'accento sulla non credibilità del governo di Alvaro Uribe a causa dei legami scoperti dalla magistratura con i paramilitari colombiani e che il Trattato di Libero Commercio che doveva essere rinegoziato a fine aprile 2008 non è stato nemmeno posto in agenda dal governo Bush. A causa dello scandalo che ha investito Uribe sembra che Bush cerchi di disimpegnarsi da un'amicizia che sta diventando sempre più imbarazzante agli occhi della comunità internazionale. Quest'ultimo fatto ha spinto Chavez ad affermare che "Nemmeno Bush crede alle bugie".

mercoledì 25 giugno 2008

Referendum revocatorio per Morales

Il senato boliviano ha approvato a metà maggio 2008 la legge che permette al presidente della Bolivia di indire un referendum che revoca il mandato presidenziale e quello dei nove governatori delle province.
Per revocare il mandato presidenziale i voti contro il presidente in carica dovranno essere superiori a quelli che ha avuto al momento della sua elezione; nel caso di Morales dovranno superare il 53,7% di preferenze con cui fu eletto.
Con l'approvazione di questa legge Evo Morales (presidente della Bolivia) a breve dovrebbe convocare il referendum che si dovrebbe svolgere 3 mesi dopo.
Se dalla consultazione uscisse vincente l'attuale opposizione (quella che ha indetto e svolto un referendum illegale per la secessione delle provincie più ricche della Bolivia (link a post) ed appoggiata dagli Stati Uniti) si potrebbe porre fine alla crisi politica e sociale del paese, ma si bloccherebbero anche gli enormi passi avanti compiuti fino ad ora sulla strada che ha portato il paese all'unità nazionale ed allearsi con gli altri Stati progressisti del continente.

sabato 21 giugno 2008

Inaugurata a Cuba la succursale dell'ALBA

A metà aprile a Cuba i rappresentanti di Venezuela, Bolivia, Cuba e Nicaragua hanno inaugurato la prima succursale dell'ALBA (Banco de la Alternativa Bolivariana para Nuestra América) nell'isola della Rivoluzione.
L'ALBA nasce a fine 2004 per contrastare l'Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) fortemente voluto dagli USA per lo sviluppo della propria rete di scambi commerciali basata sul liberismo.
Il primo protocollo di intesa dell'ALBA riguardava solo Cuba ed il Venezuela; la prima metteva a disposizione medici, tecnici sanitari ed insegnati per il programma di sviluppo sociale voluto da Chavez, mentre quest'ultimo forniva ad un prezzo molto basso circa 90000 barili di petrolio al giorno.
Successivamente tra il 2006 ed il 2007 sono entrati a far parte dell'accordo anche Bolivia, Nicaragua e Ecuador.
L'ALBA si pone come obbiettivo la lotta alla povertà ed all'esclusione sociale, cerca di sviluppare i meccanismi di cooperazione tra i vari stati aderenti per abbattere i dislivelli di sviluppo in ambito sociale, tecnologico, economico e sanitari esistenti tra i paesi dell'emisfero.
Con l'apertura della succursale dell'ALBA a Cuba si inizieranno a sentire i benefici in termine di occupazione e di supporto ai 10 progetti sociali ed ai 5 di impresa trans-nazionale che verranno avviati entro la fine di maggio 2008.
La speranza è che il Banco de la Alternativa Bolivariana para Nuestra América abbia la forza per contrapporsi all'ALCA e riesca a dimostrare che "un'altra America è possibile".

mercoledì 18 giugno 2008

La dittatura Argentina fa ancora paura

La dittatura in Argentina ha imperversato dal 1976 al 1983, ma a quanto pare i tentacoli del mostro arrivano fino ad oggi.
All'inizio di maggio 2008 Juan Ecaristo Puthod il testimone più importante del processo contro alcuni ufficiali e membri della giunta militare di Vileda è stato sequestrato per 24 ore e picchiato. Juan Ecaristo deve testimoniare contro l'ex-commissario di polizia Luis Patti che ordinò la fucilazione di alcuni dissidenti e che dopo la fine della dittatura ha intrapreso la carriera politica con il ‘Partido Unidad Federalista’ (destra) diventando prima sindaco di Escobar e poi dal 2005 parlamentare.
Juan Ecaristo Puthod ha raccontato la sua storia alla polizia e poi ai media con queste parole:"Un gruppo di persone mi ha avvicinato e, dopo avermi coperto la testa con un cappuccio, mi ha costretto a salire su un'auto , portandomi non so dove. Poi mi hanno picchiato e minacciato 'Non hai voluto capire i messaggi che ti abbiamo mandato per telefono', continuavano a ripetermi 'Tu vivi o muori a seconda di quello che vogliamo. La tua vita è ancora nelle nostre mani', ero sicuro che tutto si sarebbe concluso con una pallottola in testa".

Puthod nel 1976 aveva solo 17 anni e fu rapito, picchiato e torturato per sei anni dalla Dittatura militare; in questo periodo di soprusi perse la vista da un occhio.
Oggi Juan Ecaristo Puthod (presidente della Casa della Memoria di Zarate) è testimone e memoria del brutale e violento regime di Vileda che è ancora presente nell'Argentina del 2008 in cui si cerca di condannare gli aguzzini della dittatura.
Prima di lui Julio López, un anziano superstite delle torture militari, scomparve dopo la sua testimonianza al processo a La Plata del 18 settembre 2006. Chiamato il ‘primo desaparecido’ della democrazia, López aveva appena testimoniato contro contro l’ex-commissario della ‘Policía Bonaerense’ Miguel Etchecolatz; grazie alla suo racconto l’ex-commissario fu condannato all’ergastolo per crimini di lesa umanità.

Sfortunatamente sembra che questi non siano più episodi isolati ma che stiano riprendendo forza i nostalgici della dittatura. La presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo e sua figlia hanno subito minacce telefoniche, con messaggi scritti come questo "Stiamo tornando e la prima che uccideremo è tua madre" ed anche fisiche con uomini che suonano alle loro abitazioni a tutte le ore del giorno.
La risposta delle istituzioni è stata energica e repentina dimostrando la propria solidarietà e disponibilità alla protezione delle persone prese di mira, ma la paura più grande è che coloro che dovranno testimoniare non ritrattino tutto perché intimoriti dai tentacoli della dittatura.

sabato 14 giugno 2008

Referendum in Bolivia

Il 5 maggio si è svolto l’incostituzionale referendum pro-autonomia della provincia di Santa Cruz indetto dalle 40 famiglie più potenti, ricche, razziste e golpiste che compongono l’oligarchia del Bolivia.
L'informazione mondiale non ha dato il giusto risalto agli avvenimenti dello Stato andino che rischia un vertiginoso aumento di tensioni e tace sul fatto che il referendum è antidemocratico, incostituzionale e supportato dall'organizzazione giovanile del Comitè Civico, figlio delle oligarchie reazionarie e di estrema destra e molto vicino a gruppi paramilitari.
La regione con questo referendum pretende di sottrarre al controllo del governo centrale l’amministrazione delle risorse naturali (Gas, petrolio ed altre preziose materie prime), la fiscalità, le eventuali riforme agrarie, il controllo dei trasporti (stradali, ferroviari, aerei e fluviali) e le comunicazioni. Con queste pretese non si può parlare di una regione con una ampia autonomia ma di uno stato vero e proprio.

Le istituzioni politiche ed economiche sud americane, Gruppo di Rio e ALBA, si sono schierate a favore di Evo Morales (Presidente della Bolivia) che condanna la legittimità della consultazione referendaria.
La OEA (Organizzazione degli Stati Americani) ha affermato che il referendum è "un vero e proprio complotto per impedire che il governo democratico legittimamente eletto possa governare con il suo programma progressista, integrazionista e di giustizia sociale in corso e la Bolivia ha bisogno della solidarietà di tutti i democratici del mondo."
Gli USA, invece, hanno proferito solo un "no comment" ma con le sue "organizzazioni umanitarie" (NED e USAID) ha elargito circa 130 milioni di dollari all'opposizione da quando Evo Morales è diventato presidente, e di questi, 50 milioni di dollari sono stati investiti dal momento in cui è stato proclamato il referendum secessionista. Con queste cifre alla mano è palese l'interesse degli USA per il paese andino.
Ci sono altri finanziatori dell'illegale referendum che sono stati resi noti dal ministro degli Idrocarburi Vilegas e sono: Andina, Chaco, Pan American Energy e Transeredesche. Queste 4 compagnie sono di proprietà di multinazionali come la Repsol ed hanno visto i loro interessi ridimensionati a causa della nazionalizzazione avvenuta il primo maggio 2008: il loro finanziamento ha come unico motivo il riuscire a ripristinare i privilegi pre-nazionalizzazione.

Nessun organo di informazione si è interessato ai motivi per cui un dipartimento di uno stato proponga un referendum per l'indipendenza. Le bandiere bianco-verdi svolazzano ovunque nella regione di Santa Cruz caratterizzata dai suoi immensi latifondi sorvegliate da eserciti privati e lavorati da indios per circa un euro e mezzo al giorno. Negli ultimi mesi gli eserciti privati al soldo dei latifondisti hanno ferito 40 indigeni e fatti scomparire altri 15 solo perché denunciavano la sottrazione illegale di 150000 ettari di terreno.
L'unico scopo del referendum è il mantenimento dello status dominante da parte delle circa 40 famiglie che compongono l'oligarchia del paese legata all'esportazione agricola ed alle multinazionali petrolifere che si sentono minacciate dal processo politico che persegue una equità sociale che la Bolivia non ha mai conosciuto.

Il referendum ha avuto il suo epilogo; i promotori si gongolano del loro 83% di consensi per la secessione camuffata da autonomia ma non menzionano dell'astensionismo che ha sfiorato il 45% e si è triplicata rispetto ad altre consultazioni politiche e referendarie.
Si parla di secessione camuffata da autonomia perché appena sono stati resi noti i risultati gli USA hanno inviato il nuovo ambasciatore Philip Goldberg, che è il massimo esperto statunitense in secessioni ed ha lavorato a tutte le nuove autonomie regionali nella ex-Jugoslavia. L'incarico a Goldberg cela la volontà di impedire l'attuazione della nuova Costituzione Boliviana, desiderata ed approvata da quella maggioranza del paese che è sempre stata sfruttata, discriminata ed usurpata dei più basilari diritti. L'appello di Selvas.org.

mercoledì 11 giugno 2008

Indagato Alvaro Uribe per rapporti con i paramilitari

Nella provincia di Antioquia nel 1997 avvenne un massacro da parte di un gruppo di paramilitari di estrema destra; più precisamente nella località di El Aro in 6 giorni di scorribande furono uccise tramite tortura 15 persone, violentate numerose donne, rase al suolo 45 case ed infine fatti sfollare circa 900 abitanti del luogo.
Le rivelazioni su questo massacro sempre negato dal Governo colombiano sono state fatte da un ex paramilitare "pentito" che avrebbe preso parte alla riunione in cui si pianificava l'operazione. A questa riunione secondo le sue parole parteciparono il generale Ospina, il generale Rosso, il capo paramilitare Salvatore Mancuso ed infine il Presidente Alvaro Uribe.
L'ex paramilitare racconta che in sua presenza il Presidente avrebbe ringraziato gli uomini che attuarono il massacro perché grazie a quell'operazione riuscirono a recuperare sei ostaggi tra i quali c'era il cugini di Uribe.
La notizia dell'apertura di un fascicolo di inchiesta nei confronti di Alvaro Uribe a pochi giorni dalla cattura del cugino Mario Uribe per collusioni con il paramilitarismo rende sempre più evidenti gli intrecci tra politica e paramilitari.
Il presidente logicamente rigetta ogni accusa a suo carico affermando che sono solo calunnie ma in questo periodo la giustizia sta aprendo numerose indagini su di lui ed i suoi collaboratori più stretti con le accuse di corruzione e di coinvolgimenti diretti nelle organizzazioni paramilitari; con queste accuse è stato arrestato anche il cugini Mario Uribe.
Con l'apertura di questa indagine si spera che la Corte Suprema di Giustizia riesca ad aprire e portare alla luce le verità celate nel vaso di pandora colombiano.

venerdì 6 giugno 2008

Paramilitari nella politica colombiana

Il cugino del Presidente colombiano Alvaro Uribe il 20 di aprile ha chiesto asilo politico all'ambasciata del Costarica a Bogotà per evitare il mandato di cattura spiccato dal giudice che indaga sulle strette relazioni che esistono tra politica e paramilitari di estrema destra.
Ci sono oltre a Mario Uribe altri 70 tra parlamentari e senatori che sono indagati per lo scandalo chiamato Parapolitica, la Corte Suprema sta portando alla luce le collusioni ed i legami tra la politica e i gruppi paramilitari responsabili di migliaia di morti, eccidi, torture e omicidi selettivi.
L'ambasciata costaricana non ha concesso il tanto agognato asilo politico perché il mandato di arresto è stato emesso per il reato di associazione a delinquere aggravata e non per delitti politici come la ribellione o la sedizione.
Non avendo avuto l'asilo politico Mario Uribe ha deciso di lasciare il suo scranno di senatore perchè, così facendo, le indagini passano dalla Corte Suprema di Giustizia (organo molto serio ed intransigente che ha dato vita a tutte le indagini sulla Parapolitica) alla più compiacente Fiscalia non a caso guidata dal ex viceministro di giustizia del primo governo di suo cugino Alvaro Uribe e con infiltrazioni paramilitari.

Le accuse a carico di Mario Uribe sono gravissime, si parla di aver avuto riunioni con Salvatore Mancuso, leader del gruppo di paramilitare più potente chiamato Autodifesa unita della Colombia (Auc), per ottenere aiuti durante la sua campagna elettorale e di aver usato i "servigi" dei paramilitari per acquistare circa 5000 ettari di terra a cifre irrisorie da alcuni proprietari costretti al desplazamiento (abbandono forzato delle proprie terre e case).
Con l'arresto di Mario Uribe il presidente, Alvaro Uribe, ha subito un duro colpo perché oltre ad essere un parente stretto è anche il cofondatore insieme ad Alvaro della Colombia Democrática, il partito che oggi è al potere.
Le loro carriere politiche sono sempre andate di pari passo, Mario è stato eletto senatore e poi presidente del Senato, ha aiutato il cugino ad essere eletto entrambe le volte alla guida del paese.
Alvaro Uribe deve, adesso, fronteggiare lo scandalo della Parapolitica che sta mietendo i suoi più stretti collaboratori e compagni di partito visto che Colombia Democrática è stato il partito politico più colpito dagli arresti per questo scandalo; rimangono solo 4 uomini politici liberi perché negli ultimi giorni anche Ricardo Elcure, che aveva preso il posto di Mario Uribe al Senato, è stato arrestato.

Alvaro Uribe si deve guardare le spalle oltre che dall'inchiesta sulla Parapolitica anche dalle rivelazioni rese pubbliche in un video registrato dal direttore di Canal1, Daniel Coronell,che registrò durante l'approvazione della legge per la rielezione immediata del presidente. Nel video Yidis Medina, ex-parlamentare, parla di come il presidente e i suoi collaboratori più stretti le avessero promesso notevoli benefici economici e politici in cambio del suo voto risultato stranamente decisivo. Le promesse fatte a Medina non furono rispettate e così lei ha deciso di autorizzare la pubblicazione del video da cui sono partite nuove indagini che toccano in prima persona il presidente.

giovedì 5 giugno 2008

Riconsegnato un territorio ancestrale ai Mapuche

Il tribunale argentino ha emesso una sentenza storica per il popolo Mapuche riconsegnandoli delle terre ancestrali occupate illegalmente da privati. La comunità Mapuche dei Quintupuray da maggio vivevano in condizioni disperate perchè cacciati con la forza da un gruppo di latifondisti che avevano acquistato i loro territori con falsi atti di compravendita.
Dopo un mese dalla loro cacciata il tribunale ha dato giustizia alla comunità convocando il presidente del CoDeCi (Consejo de Desarrollo de Comunidades Indígenas de Río Negro) ed il suo rappresentante legale per firmare gli atti che conferiscono ufficialmente la proprietà al popolo indigeno. Questa sentenza crea un precedente importantissimo, restituendo le terre ancestrali hai legittimi proprietari, nell'area del Patagonia; sicuramente il problema delle terre sottratte ai Mapuche ed altri popoli indigeni non è risolto ma un passo avanti, speriamo decisivo, è stato compiuto.