lunedì 27 luglio 2009

Il Golpe in Honduras

Il colpo di stato in Honduras ha le sue radici nella convocazione da parte del presidente Manuel Zelaya, di un referendum per il 29 novembre 2009, insieme alle elezioni presidenziali, legislative e amministrative, insieme alla creazione di una assemblea costituente che riformi gli articoli della Costituzione che regolamentano i mandati del presidente.
Il presidente Manuel Zelaya fu eletto nel partito liberale (centro-destra) ma durante tutto il suo mandato ha effettuato un notevole cambiamento collocandosi nel centro-sinistra.

Questa mossa del presidente Manuel Zelaya è osteggiata dall'opposizione e dal parlamento che ha votato una legge per vietare lo svolgimento dei referendum 180 giorni prima e dopo delle elezioni presidenziali.
La tensione tra le cariche istituzionali del paese è salita quando il capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale Romeo Vázquez, (che si è rifiutato insieme ai propri sottoposti di distribuire le urne e le schede del referendum, quindi di adempiere ai propri doveri) è stato destituito insieme al ministro della Difesa, Angel Edmundo Orellana il 25 giugno.

Il referendum indetto per domenica 28 giugno l'appoggio di circa 85% della popolazione; ma "l' elite sociale" più influente e dominante che annovera i ricchi industriali, l'esercito, i politici di lungo corso, e le gerarchie cattoliche non sono disposte al confronto elettorale per creare una Assemblea Costituente che finalmente possa fissare i diritti civili della popolazione.
Zelaya è osteggiando con tutti i mezzi dal suo partito perché contrario al referendum ed anche la Corte Costituzionale si è pronunciata contro il referendum dichiarandolo illegittimo. Le posizioni di intransigenza al referendum sono amplificate dai media, in mano alla élite economica, che non prendono minimamente in considerazione la possibilità che la consultazione referendaria possa essere appoggiata dal popolo.

La Corte Suprema ha chiesto al Presidente di reintegrare il generale Vázquez ma Zelaya si è rifiutato e nella notte tra il 27 e 28 giugno numerosi reparti dell'esercito hanno occupato i punti strategici del paese centro americano. Mentre l'esercito si mobilitava i movimenti indigeni e sociali che appoggiano il presidente scendevano in piazza e cercavano di occupare la base militare di di Tocontin per cercare di sottrarre al controllo dell'esercito le urne e le schede per il referendum.

La mattina del 28 giugno il presidente Manuel Zelaya è stato arrestato dall'esercito e trasferito in Costa Rica. Zelaya a Telesur ha affermato: "Sono vittima di un complotto. Sono stato rapito. Non mi dimetto non utilizzerò mai questo meccanismo" riferendosi alla falsa notizia che l'esercito ha diffuso tramite un media statunitense che lo stesso presidente avrebbe rassegnato le proprie dimissioni.
La moglie del presidente deposto Zelaya, Siomara Castro, ha contattato un giornalista dichiarando: "Sono nascosta perché c'è l'ordine di arrestare anche noi. Chiedo ai soldati di non essere complici delle gerarchie militari che hanno architettato il golpe".
Oltre al presidente del Honduras ed altri suoi collaboratori sono stati arrestati anche dei diplomatici cubani e del Nicaragua presenti nella capitale.

Dal presidente venezuelano, Chávez, a quello statunitense, Obama, passando per l'Unione Europea tutti hanno condannato il golpe ordito dai vertici militari e dalla Corte Suprema chiedendo l'immediato rilascio del Presidente ed il ripristino della volontà popolare e quindi della democrazia.

giovedì 23 luglio 2009

Morto leader della Tripla A

Morto leader della Tripla A Rodolfo Almirón è morto in Argentina l'undici giugno 2009 a 74 anni.
Fu uno dei più importanti dirigenti della Alleanza Anticomunista Argentina, conosciuta anche come Tripla A, che negli anni settanta durante la dittatura argentina (1976-1983) si macchiarono di oltre mille omicidi.
La Tripla A era un'organizzazione paramilitare che "aiutava" la polizia politica argentina a perseguire gli oppositori del regime; le vittime della Tripla A erano in maggior modo persone (politici, poliziotti, professori, sindacalisti, artisti e intellettuali) legate o simpatizzanti della "sinistra".
Almirón fu anche commissario della polizia federale e dopo la carriera nella polizia fu inviato in Spagna in veste agente addetto alla sicurezza dell'ambasciatore Josè Lopez Rega. Secondo alcuni documenti, non ancora comprovati, Rodolfo Almirón partecipò nel 1980 insieme a Stefano Delle Chiaie e Augusto Canchidi alla strage di Bologna.
La vita da uomo libero cessò nel 2006, quando a seguito dell'abolizione delle leggi che garantivano l'impunità ai torturatori della dittatura, fu arrestato in Spagna a Torrento dove si era rifugiato e riciclato come cameriere. Nel 2008 la Spagna lo estradò in Argentina anche se, sfortunatamente, la giustizia argentina non è riuscita a giudicarlo per gli innumerevoli omicidi commessi.

sabato 18 luglio 2009

Un passo indietro del Perù

Dopo gli scontri tra manifestanti indios dell'area amazzonica e le forze di polizia inviate dal governo che hanno lasciato sul campo cinquantadue corpi (30 indios e 22 poliziotti) il Congresso del Perù ha deciso di sospendere la legge che ha dato il via alle proteste per novanta giorni.
Dopo gli scontri il Presidente Alan Garcia ha affermato: "Il mio governo non si piegherà al volere di piccoli gruppi che non rappresentano la maggioranza del Paese".

A distanza di alcuni giorni il primo ministro del Perù, Yehude Simon, ha cercato un dialogo con gli indios affermando: "Chiedo un milione di volte perdono. A prescindere se uno sia responsabile o meno, come primo ministro devo chiedere perdono"; insieme a queste parole il governo peruviano ha cancellato due decreti, conosciuti come "leyes de la selva", che regolavano lo sfruttamento delle risorse naturali su circa 45 milioni di ettari di foresta amazzonica.
Gli altri decreti approvati per attuare il Trattato di Libero Commercio sottoscritto con gli Stati Uniti saranno esamitati a Lima dal Gruppo per lo sviluppo dei popoli amazzonici.
Il resto dei decreti del pacchetto approvato lo scorso anno nel piano di adeguamento della legislazione nazionale al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, dovrebbero essere valutati dal Gruppo per lo sviluppo dei popoli amazzonici per comprendere se i decreti prevarichino o no i diritti fondamentali degli indios.

martedì 14 luglio 2009

domenica 12 luglio 2009

Le manifestazioni Indios affogate nel sangue

Venerdì 5 di giugno 2009 ci sono stati scontri tra gruppi di indios peruviani, che scioperavano contro il Trattato di Libero Commercio (TLC) che sta svendendo le risorse naturali alle multinazionali USA e sta distruggendo una vasta parte della foresta amazzonica, e la polizia inviata dal governo di Alan Garcia.
Gli scontri hanno lasciato sull'asfalto circa cinquanta persone tra agenti di polizia e manifestanti ed oltre cento feriti; alcune fonti parlano anche di un sequestro di dodici poliziotti che poi sarebbero stati uccisi a colpi di machete.

I nativi si sono mobilitati già da aprile per cercare di impedire che le risorse del sottosuolo peruviano (petrolio, gas naturale, acqua, legname ed altri importanti minerali) siano cannibalizzate dalle multinazionali, che sfruttano il TLC sottoscritto dal Perù e dagli USA, e di conseguenza la foresta amazzonica subisce un grave danno ecologico.
Gli indios dopo molti anni di dure lotte negli anni settanta riuscirono a farsi consegnare dal governo le terre che i loro avi abitavano ma che ora il TLC di fatto “privatizza”.
Le multinazionali che operano ed opereranno non saranno più tenute a confrontarsi con i popoli che abitano la regione, in pratica avranno dei regni liberi nello stato peruviano.

Le ragioni degli indios sono sintetizzate in alcune frasi scandite dai loro portavoce: "Questa è la nostra terra, la nostra cultura, la nostra identità. Per noi questi territori hanno un valore spirituale. Per il 'mercato' queste terre, invece, hanno un'importanza commerciale negoziabile".
Dopo gli scontri in cui si sono contati oltre quaranta morti il governo di destra di Alan Garcia ha iniziato una vera e propria caccia ai leader della resistenza indigena ed uno di questi dirigenti indigeni, Alberto Pizango , è stato costretto a chiedere asilo politico in Nicaragua perché considerato il responsabile degli incidenti. Rifugiatosi l'otto maggio nell'ambasciata del Nicaragua a Lima perché ricercato per sedizione, omicidio e attacco alle forze armate, rischiava la condanna a 35 anni di carcere, ha ricevuto secondo il ministro degli esteri peruviano lo status di rifugiato politico.

Da aprile gli indios manifestano ogni giorno pacificamente e si espongono costantemente per vedere riconosciuti i propri diritti fondamentali ed il Governo di Garcia sembra non voler ascoltare; ha inviato le forze dell'ordine per disperdere e reprimere i nativi che hanno usato candidamente le loro armi da fuoco, i loro gas lacrimogeni ed anche gli elicotteri.
Alan Garcia incarna la via liberista e continua il percorso del colonizzatore che da oltre 500 anni disbosca, depreda e distrugge una terra ricchissima di materie prime e di popoli che la abitano.
Dopo alcuni giorni di scontri il governo ha deciso di dichiarare il coprifuoco e lo stato d'emergenza nelle aree interessate degli scontri ed è per questo che la situazione sembra tornata sotto controllo ma, fortunatamente, gli indios non si sono fatti intimorire e stanno organizzando nuove iniziative.

Il Perù dovrebbe capire che solo percorrendo la strada intrapresa da Ecuador e Bolivia, fortemente impegnate nello sviluppo sostenibile e nel rispetto delle popolazioni indio, il progresso continua.

giovedì 9 luglio 2009

L'OEA apre le porte a Cuba

Nella riunione dell'OEA (Organizzazione degli Stati Americani) in Honduras nel maggio del 2009 è stata votata la risoluzione per la revoca del bando di Cuba dall'OEA, da dove era stata estromessa nel 1962 dopo che aveva deciso di aderire al marxismo.
Il presidente Chávez dopo la risoluzione ha affermato: "è una giornata storica di rivendicazione dell'indipendenza dell'America Latina nonostante le pressioni degli Stati Uniti", il Ministro degli esteri argentino Jorge Tajana ha dichiarato che “è la fine di un anacronismo e un’ingiustizia storica" ed infine il presidente hondureño Manuel Zelaya ha concluso con: “lo dico al comandante Fidel Castro, oggi lei è stato assolto dalla storia”.

La riunione che ha portato alla riammissione di Cuba nell'OEA è durata più di 36 ore a causa delle riserve espresse dagli USA, che infine hanno ceduto alla linea voluta dalla maggioranza dei paesi latino americani.
Cuba ha registrato un successo politico oltre che all'appoggio di un folto gruppo di paesi amici che si sono schierati apertamente con l'isola della Rivoluzione. Fidel Castro, tramite un suo editoriale apparso su un giornale cubano, scriveva che "Cuba non è nemica della pace nè contraria allo scambio e alla cooperazione fra stati con diversi sistemi politici ma è stata e rimarrà intransigente nella difesa dei suoi principi" riferendosi alla dichiarazione della Clinton che sottolineava che "Cuba potrà tornare a far parte dell'Oea nel futuro, sempre e quando l'organismo decida che la sua partecipazione adempie i propositi e i principi dello stesso democrazia e diritti umani compresi". Fidel Castro continuando nel suo editoriale auspicava lo scioglimento dell'OEA a favore di organismi sovranazionali (ALBA) che già si adoperano per risolvere i contenziosi aperti tra paesi (come quello nato dallo sconfinamento dell'esercito colombiano in Ecuador per l'attacco all'accampamento delle FARC dove fu ucciso il comandante Reyes) e per lo sviluppo dell'economia e delle società sud americane.

sabato 4 luglio 2009

La politica messicana ed i narcos

A fine maggio in Messico e precisamente nello stato del Stato di Michoacan è stata effettuata una vasta operazione contro un cartello di narcos, “la familia Michoacana”, in cui sono stati arrestati undici narcos, dieci sindaci, un giudice, diversi poliziotti, un assessore e ventotto funzionari governativi dello stato del Michoacan che cooperavano con i narcotrafficanti.
Le accuse rese note dalla magistratura messicana sono molto pesanti e sono tutte documentate; sono quelle di aver dato appoggi logistici e impunità agli affiliati del cartello che ha nel traffico di armi e droga verso gli Usa, estorsione, contrabbando e sequestri di persona i maggiori interessi.
Il cartello de La familia Michoacana è nato da poco tempo da una sanguinosissima scissione con il cartello del Golfo.

L'ondata di arresti è stata messa in atto nella massima segretezza possibile perché numerosi settori della politica cooperavano con i narcotrafficanti.
Dopo il successo di questa operazione il governatore dello Stato di Michoacan, Leonel Godoy, ha esternato tutto il proprio disappunto perché le autorità federali non lo hanno messo al corrente ed ha dichiarato: "l'operazione di polizia è avvenuta senza che nessuno ci abbia avvisato. Adesso stiamo verificando se tutto quello che è successo sia compatibile con la Costituzione oppure sia anticostituzionale. La lotta contro il crimine organizzato deve essere decisa con la collaborazione delle autorità statali".
Oltre al governatore anche altri esponenti del Prd (Partido Revolucionario Democratico) e del Pri (Partido Revolucionario Istitucional) hanno protestato contro l'arresto dei loro compagni di partito perché affermano in modo deciso che tutta l'operazione anti-narcos abbia solo uno scopo politico, a causa della vicina elezione delle cariche federali, previste il 5 luglio 2009, e non colpirebbe i veri collaboratori del cartello de La familia Michoacana

Le forze di polizia che hanno portato avanti le indagini e effettuato gli arresti non potevano informare le autorità locali senza che trapelassero le informazioni sull'operazione in corso. Quindi il disappunto degli esponenti politici è solo un atto per distrarre e screditare davanti agli occhi dell'opinione pubblica gli inquirenti per paura di perdere ulteriore consenso se altri esponenti politici del Prd e Pri verranno coinvolti.

mercoledì 1 luglio 2009

Attacco all'Amazzonia peruviana

Circa il 60% dell'Amazzonia peruviana potrebbe sparire grazie a nove decreti legge ed in particolare al Decreto Legislativo 1090, Ley Forestal e la Ley de Recursos Hidricos che mettono in pratica alcuni punti del Trattato di Libero Commercio che il Perù ha stipulato con gli USA.
A causa di questo decreti da aprile del 2009 le oltre 1000 comunità indigene del Perù hanno iniziato la loro mobilitazione per difendere i loro diritti ancestrali ma soprattutto per preservare l'ecosistema amazzonico; secondo gli indigeni, dando seguito ai decreti legge, l'area amazzonica interessata sarebbe alla mercé delle multinazionali statunitensi.
Gli indigeni peruviani stanno protestando con vigore; attuano anche il blocco delle vie di comunicazione, a metà maggio per esempio un gruppo di nativi ha bloccato il ponte Corral Quemado, che è l'accesso principale per la selva del nord. La "presa" del ponte ha causato una violenta reazione delle forze dell'ordine che ha lanciato numerosi lacrimogeni intossicando molti indigeni, e negli scontri avvenuti successivamente sono rimasti feriti in modo grave due manifestanti.
Un'altra protesta è stata attuata dagli indigeni sul fiume Napo che hanno bloccato il corso d'acqua per non far giungere le imbarcazioni della multinazionale anglo-francese Perenco nelle aree dove stanne esplorando il sottosuolo.
Il blocco è durato per molte ore fino a quando due imbarcazioni della Perenco, sono riuscite a forzare il blocco con la forza sparando numerosi colpi di arma da fuoco contro le canoe dei nativi che presidiavano il fiume.
La Perenco sta esplorando una parte dell'Amazzonia dove si trovano due delle ultime tribù di Indiani isolati del mondo.

Le proteste sono continuate per tutto aprile e l'inizio di maggio. Il governo del Perù ha deciso di applicare lo stato d’emergenza nei dipartimenti di Cusco, Ucayali, Loreto y Amazonas ma dopo due settimane dall'inizio del provvedimento le manifestazioni non sono terminate, mentre sono iniziati i colloqui tra governo e rappresentanze indigene. Secondo il capo negoziatore del governo, Yehude Simon, il governo è (finalmente) disposto a correggere alcune parti dei decreti, ma non ha la possibilità di annullarli del tutto. Anche per il delegato della “Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana” (Aidesep), Alberto Pisango, oggi comincia una nuova tappa di dialogo anche se è troppo presto per sospendere la protesta.

La protesta indigena ha come fulcro la dichiarazione del tribunale Nazionale che ha dichiarato il Decreto Legislativo 1090 incostituzionale perché la legge che attua il TLC prevaricherebbe la Costituzione del Perù. Questi decreti legge trasformerebbero il 60% del territorio coperto da foresta in Perù in aree agricole, eludendo così le leggi che definivano i diritti ancestrali dei popoli nativi garantiti dal Trattato Internazionale sui Popoli Indigeni dei quali il Perù è firmatario.