In Colombia è presente un popolo che rischia l'estinzione a causa della politica del governo Uribe e dei paramilitari. Gli Awá, che nella loro lingua significa "gente", oggi sono circa 27 mila e popolano un'area di di circa 320 mila ettari che va dalla provincia di Nariño fino alla provincia di Putumayo.
Originariamente gli Awá era un popolo nomade di cacciatori ma sono stati costretti a diventare stanziali ed hanno dovuto iniziare a coltivare la terra ed allevare animali perché era diventato impossibile seguire le migrazione dei branchi.
Il cambiamento è nato quando i coloni europei, poi le guerre civili, poi i cercatori di oro e di risorse del sottosuolo ed infine i cocaleros hanno iniziato ad occupare le loro terre fertili e ricche obbligandoli a cambiare la loro vita e la loro cultura millenaria.
Con problemi sorti con la colonizzazione europea si è aggiunta, negli ultimi tre decenni, la guerra tra FARC e Stato colombiano che vede le loro terre protagoniste degli scontri e delle scorribande dei paramilitari e dei narcos hanno aumentato le minacce alla loro cultura ed alla loro sopravvivenza.
Il popolo degli Awá si sente minacciato a causa della ricchezza delle terre che loro occupano, ed il presidente dell'Unità Indigena (Unica), Gabriel Bisbicus, afferma che esistono "forze oscure, con la complicità di organismi di sicurezza statale" che pedinano, minacciano, perseguitano i nativi; per sostenere questa tesi ricorda che da gennaio 2009 sono stati uccisi 28 indios senza che la polizia abbia individuato mai un colpevole.
L'ultimo episodio che ha visto, sfortunatamente, protagonista il popolo indio è stato il massacro di dodici persone, tra cui sette giovani sotto i diciotto anni ed addirittura un bambino di un anno, avvenuto nella notte del 26 agosto 2009.
Il massacro è avvenuto nell'area di Gran Rosario, nel Tumaco, dove un gruppo di uomini vestiti con mimetica ed incappucciati sono entrati in una casa di El Divisio ed hanno ucciso dodici Awá.
Le indagini della polizia non hanno tenuto conto delle testimonianze di alcuni abitanti del villaggio e di alcune tracce evidenti, come munizioni calibro nove millimetri e le impronte lasciate da anfibi rinforzati, utilizzati dai paramilitari e dall'esercito e non dalle FARC, che invece utilizzano stivali in gomma come i contadini colombiani.
Anche se le prove portano verso i paramilitari o l'esercito, la polizia ha trovato un capro espiatorio che secondo gli investigatori avrebbe ucciso da solo i dodici indio. Il colpevole predestinato è Jairo Miguel Paí, anche lui Awá, che da molto tempo è in conflitto con la comunità indigena che lo ha addirittura espulso perché aiutò i paramilitari in alcune operazioni oltre ad aver estorto del denaro alla comunità Awá.
Il portavoce della comunità dopo l'arresto di Paí ha affermato: "Adesso, quello che vogliono (le autorità di polizia) è che le indagini portino a dei colpevoli, siano quelli che siano, perché noi non condividiamo la tesi secondo cui Paí sia l'autore della strage".
Il luogo dove è avvenuto il massacro non sembra casuale ma piuttosto sembra scelto con cura e con l'intento di punire e avvertire l'intera comunità Awá, perché gli omicidi sono avvenuti in casa di Sixta Tulia García che denunciò con forza l'esercito per la morte del marito, Gonzalo Rodríguez.
Originariamente gli Awá era un popolo nomade di cacciatori ma sono stati costretti a diventare stanziali ed hanno dovuto iniziare a coltivare la terra ed allevare animali perché era diventato impossibile seguire le migrazione dei branchi.
Il cambiamento è nato quando i coloni europei, poi le guerre civili, poi i cercatori di oro e di risorse del sottosuolo ed infine i cocaleros hanno iniziato ad occupare le loro terre fertili e ricche obbligandoli a cambiare la loro vita e la loro cultura millenaria.
Con problemi sorti con la colonizzazione europea si è aggiunta, negli ultimi tre decenni, la guerra tra FARC e Stato colombiano che vede le loro terre protagoniste degli scontri e delle scorribande dei paramilitari e dei narcos hanno aumentato le minacce alla loro cultura ed alla loro sopravvivenza.
Il popolo degli Awá si sente minacciato a causa della ricchezza delle terre che loro occupano, ed il presidente dell'Unità Indigena (Unica), Gabriel Bisbicus, afferma che esistono "forze oscure, con la complicità di organismi di sicurezza statale" che pedinano, minacciano, perseguitano i nativi; per sostenere questa tesi ricorda che da gennaio 2009 sono stati uccisi 28 indios senza che la polizia abbia individuato mai un colpevole.
L'ultimo episodio che ha visto, sfortunatamente, protagonista il popolo indio è stato il massacro di dodici persone, tra cui sette giovani sotto i diciotto anni ed addirittura un bambino di un anno, avvenuto nella notte del 26 agosto 2009.
Il massacro è avvenuto nell'area di Gran Rosario, nel Tumaco, dove un gruppo di uomini vestiti con mimetica ed incappucciati sono entrati in una casa di El Divisio ed hanno ucciso dodici Awá.
Le indagini della polizia non hanno tenuto conto delle testimonianze di alcuni abitanti del villaggio e di alcune tracce evidenti, come munizioni calibro nove millimetri e le impronte lasciate da anfibi rinforzati, utilizzati dai paramilitari e dall'esercito e non dalle FARC, che invece utilizzano stivali in gomma come i contadini colombiani.
Anche se le prove portano verso i paramilitari o l'esercito, la polizia ha trovato un capro espiatorio che secondo gli investigatori avrebbe ucciso da solo i dodici indio. Il colpevole predestinato è Jairo Miguel Paí, anche lui Awá, che da molto tempo è in conflitto con la comunità indigena che lo ha addirittura espulso perché aiutò i paramilitari in alcune operazioni oltre ad aver estorto del denaro alla comunità Awá.
Il portavoce della comunità dopo l'arresto di Paí ha affermato: "Adesso, quello che vogliono (le autorità di polizia) è che le indagini portino a dei colpevoli, siano quelli che siano, perché noi non condividiamo la tesi secondo cui Paí sia l'autore della strage".
Il luogo dove è avvenuto il massacro non sembra casuale ma piuttosto sembra scelto con cura e con l'intento di punire e avvertire l'intera comunità Awá, perché gli omicidi sono avvenuti in casa di Sixta Tulia García che denunciò con forza l'esercito per la morte del marito, Gonzalo Rodríguez.
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