Il colpo di stato in Honduras ha le sue radici nella convocazione da parte del presidente Manuel Zelaya, di un referendum per il 29 novembre 2009, insieme alle elezioni presidenziali, legislative e amministrative, insieme alla creazione di una assemblea costituente che riformi gli articoli della Costituzione che regolamentano i mandati del presidente.
Il presidente Manuel Zelaya fu eletto nel partito liberale (centro-destra) ma durante tutto il suo mandato ha effettuato un notevole cambiamento collocandosi nel centro-sinistra.
Questa mossa del presidente Manuel Zelaya è osteggiata dall'opposizione e dal parlamento che ha votato una legge per vietare lo svolgimento dei referendum 180 giorni prima e dopo delle elezioni presidenziali.
La tensione tra le cariche istituzionali del paese è salita quando il capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale Romeo Vázquez, (che si è rifiutato insieme ai propri sottoposti di distribuire le urne e le schede del referendum, quindi di adempiere ai propri doveri) è stato destituito insieme al ministro della Difesa, Angel Edmundo Orellana il 25 giugno.
Il referendum indetto per domenica 28 giugno l'appoggio di circa 85% della popolazione; ma "l' elite sociale" più influente e dominante che annovera i ricchi industriali, l'esercito, i politici di lungo corso, e le gerarchie cattoliche non sono disposte al confronto elettorale per creare una Assemblea Costituente che finalmente possa fissare i diritti civili della popolazione.
Zelaya è osteggiando con tutti i mezzi dal suo partito perché contrario al referendum ed anche la Corte Costituzionale si è pronunciata contro il referendum dichiarandolo illegittimo. Le posizioni di intransigenza al referendum sono amplificate dai media, in mano alla élite economica, che non prendono minimamente in considerazione la possibilità che la consultazione referendaria possa essere appoggiata dal popolo.
La Corte Suprema ha chiesto al Presidente di reintegrare il generale Vázquez ma Zelaya si è rifiutato e nella notte tra il 27 e 28 giugno numerosi reparti dell'esercito hanno occupato i punti strategici del paese centro americano. Mentre l'esercito si mobilitava i movimenti indigeni e sociali che appoggiano il presidente scendevano in piazza e cercavano di occupare la base militare di di Tocontin per cercare di sottrarre al controllo dell'esercito le urne e le schede per il referendum.
La mattina del 28 giugno il presidente Manuel Zelaya è stato arrestato dall'esercito e trasferito in Costa Rica. Zelaya a Telesur ha affermato: "Sono vittima di un complotto. Sono stato rapito. Non mi dimetto non utilizzerò mai questo meccanismo" riferendosi alla falsa notizia che l'esercito ha diffuso tramite un media statunitense che lo stesso presidente avrebbe rassegnato le proprie dimissioni.
La moglie del presidente deposto Zelaya, Siomara Castro, ha contattato un giornalista dichiarando: "Sono nascosta perché c'è l'ordine di arrestare anche noi. Chiedo ai soldati di non essere complici delle gerarchie militari che hanno architettato il golpe".
Oltre al presidente del Honduras ed altri suoi collaboratori sono stati arrestati anche dei diplomatici cubani e del Nicaragua presenti nella capitale.
Dal presidente venezuelano, Chávez, a quello statunitense, Obama, passando per l'Unione Europea tutti hanno condannato il golpe ordito dai vertici militari e dalla Corte Suprema chiedendo l'immediato rilascio del Presidente ed il ripristino della volontà popolare e quindi della democrazia.
Il presidente Manuel Zelaya fu eletto nel partito liberale (centro-destra) ma durante tutto il suo mandato ha effettuato un notevole cambiamento collocandosi nel centro-sinistra.
Questa mossa del presidente Manuel Zelaya è osteggiata dall'opposizione e dal parlamento che ha votato una legge per vietare lo svolgimento dei referendum 180 giorni prima e dopo delle elezioni presidenziali.
La tensione tra le cariche istituzionali del paese è salita quando il capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale Romeo Vázquez, (che si è rifiutato insieme ai propri sottoposti di distribuire le urne e le schede del referendum, quindi di adempiere ai propri doveri) è stato destituito insieme al ministro della Difesa, Angel Edmundo Orellana il 25 giugno.
Il referendum indetto per domenica 28 giugno l'appoggio di circa 85% della popolazione; ma "l' elite sociale" più influente e dominante che annovera i ricchi industriali, l'esercito, i politici di lungo corso, e le gerarchie cattoliche non sono disposte al confronto elettorale per creare una Assemblea Costituente che finalmente possa fissare i diritti civili della popolazione.
Zelaya è osteggiando con tutti i mezzi dal suo partito perché contrario al referendum ed anche la Corte Costituzionale si è pronunciata contro il referendum dichiarandolo illegittimo. Le posizioni di intransigenza al referendum sono amplificate dai media, in mano alla élite economica, che non prendono minimamente in considerazione la possibilità che la consultazione referendaria possa essere appoggiata dal popolo.
La Corte Suprema ha chiesto al Presidente di reintegrare il generale Vázquez ma Zelaya si è rifiutato e nella notte tra il 27 e 28 giugno numerosi reparti dell'esercito hanno occupato i punti strategici del paese centro americano. Mentre l'esercito si mobilitava i movimenti indigeni e sociali che appoggiano il presidente scendevano in piazza e cercavano di occupare la base militare di di Tocontin per cercare di sottrarre al controllo dell'esercito le urne e le schede per il referendum.
La mattina del 28 giugno il presidente Manuel Zelaya è stato arrestato dall'esercito e trasferito in Costa Rica. Zelaya a Telesur ha affermato: "Sono vittima di un complotto. Sono stato rapito. Non mi dimetto non utilizzerò mai questo meccanismo" riferendosi alla falsa notizia che l'esercito ha diffuso tramite un media statunitense che lo stesso presidente avrebbe rassegnato le proprie dimissioni.
La moglie del presidente deposto Zelaya, Siomara Castro, ha contattato un giornalista dichiarando: "Sono nascosta perché c'è l'ordine di arrestare anche noi. Chiedo ai soldati di non essere complici delle gerarchie militari che hanno architettato il golpe".
Oltre al presidente del Honduras ed altri suoi collaboratori sono stati arrestati anche dei diplomatici cubani e del Nicaragua presenti nella capitale.
Dal presidente venezuelano, Chávez, a quello statunitense, Obama, passando per l'Unione Europea tutti hanno condannato il golpe ordito dai vertici militari e dalla Corte Suprema chiedendo l'immediato rilascio del Presidente ed il ripristino della volontà popolare e quindi della democrazia.
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