Il 14 febbraio 2011 la giustizia ecuadoriana ha condannato la multinazionale petrolifera Chevron a pagare una multa di 8.646 milioni di dollari per aver provocato un disastro ambientale nell'Amazzonia ecuadoriana in cui la Texaco, compagnia acquisita dalla Chevron, ha operato per oltre 45 anni.
La Texaco aprì i primi pozzi petroliferi nell'area di Sucumbíos nel 1964, alcuni anni dopo si consorziò con la compagnia petrolifera dello Stato ecuadoriano fino a quando nel 2001 fu acquisita dalla Chevron. Nel 1993 fu depositata la prima denuncia negli USA contro la Texaco ma per competenza territoriale fu spostata in Ecuador ed il procedimento ebbe inizio nel 2003 a Nuova Loja.
La sentenza punisce la multinazionale statunitense per non essersi preoccupata del trattamento degli scarti dell'estrazione petrolifera che, invece, ha lasciato insieme ad altre sostanze tossiche in vasche a cielo aperto da cui poi si sono verificate perdite che hanno impregnato il terreno e le falde acquifere.
L'inquinamento prodotto dal mancato trattamento degli scarti dell'estrazione del greggio ha provocato la distruzione di molte coltivazioni e di parti di foresta Amazzonica e come se non bastasse anche gli abitanti dell'area si sono ammalati e sono morti.
Il giudice Nicolás Zambrano ha imposto oltre alla sanzione per i danni ecologici anche un risarcimento dell'ordine del 10% per i danni provocati alle comunità colpite. L'avvocato Pablo Fajardo, cresciuto tra i pozzi petroliferi di Sucumbíos e laureatosi per cercare di dare giustizia e dignità alla sua comunità, ha dichiarato che il risarcimento è "irrisorio per il pesante inquinamento provocato, ma significativo, anche se la nostra richiesta era di 27 miliardi di dollari. Abbiamo combattuto giuridicamente per ottenere che l'impresa Chevron, prima Texaco, risponda del suo crimine e paghi per riparare il danno ambientale provocato. È chiaro che si tratta di una somma insignificante rispetto al reale crimine commesso, un crimine ambientale sì, ma anche culturale e umano. Resta comunque il fatto che siamo di fronte a un vero passo avanti verso il trionfo della giustizia".
La Chevron però contesta la decisione del giudice tramite un comunicato stampa in cui si legge: "La sentenza della corte ecuadoriana è illegittima e inapplicabile. È il prodotto di una frode e totalmente contraria a quello che dimostrano le prove scientifiche e legittime. Chevron ricorrerà in appello e spera che prevalga la giustizia. Sia le corti Usa che i tribunali internazionali hanno già preso le dovute misure per prevenire l'applicazione del verdetto emesso dalla corte ecuadoriana. Chevron è convinta che in qualsiasi Stato di diritto questa sentenza sia inapplicabile".
A vantaggio della multinazionale statunitense vi è un verdetto del 11 febbraio 2011 emesso dalla Corte permanente di arbitraggio del Aja la quale proibisce, temporaneamente, l'applicazione di ogni sentenza emessa contro la Chevron. La decisione del Aja risponde ad una richiesta di arbitrato fatta dalla multinazionale nel settembre 2009 basata sul Trattato bilaterale tra Usa ed Ecuador che esonera da ogni responsabilità la multinazionale nel avesse ricoperto un terzo delle 260 piscine costruite per contenere gli scarti dello sfruttamento petrolifero.
Oltre alla sentenza del Aja ve ne è anche un'altra pronunciata da un giudice di New York che blocca il pagamento dei risarcimenti fino a che non vi sia un giudizio definitivo.
Il primo passo verso la giustizia, anche se osteggiata con ogni mezzo della Chevron e dalle pressioni politico/economiche degli Usa, è arrivato dopo 18 anni dalla denuncia per disastro ambientale; anche se è il primo grado di giudizio rimane una sentenza storica che speriamo deventi definitivo.
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